Correva l'anno 1940....
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mambu
Cantastorie
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xenas- Utente Fattiscente: 5001-9999 Post
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Re: Correva l'anno 1940....
Princi, vedi che abbiamo un'affinità di fondo?
l'imitazione del vecchio Gucc era uno dei miei numeri di maggior successo
(vista anche una lieve somiglianza, ahimé
)
per quello non mi sai resistere
l'imitazione del vecchio Gucc era uno dei miei numeri di maggior successo
(vista anche una lieve somiglianza, ahimé

per quello non mi sai resistere

mambu- Utente... preoccupante >10.000 Post
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Re: Correva l'anno 1940....
chi è Guccini , uno del forum?
calma calma...sono masochista e cerco botte oggi.
calma calma...sono masochista e cerco botte oggi.
LucyGordon- Utente Fattiscente: 5001-9999 Post
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Re: Correva l'anno 1940....
LucyGordon ha scritto:chi è Guccini , uno del forum?
calma calma...sono masochista e cerco botte oggi.

ZONA VIETATA AI MINORI DI 40 ANNI
mambu- Utente... preoccupante >10.000 Post
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Re: Correva l'anno 1940....
mambu ha scritto:LucyGordon ha scritto:chi è Guccini , uno del forum?
calma calma...sono masochista e cerco botte oggi.
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LucyGordon- Utente Fattiscente: 5001-9999 Post
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Re: Correva l'anno 1940....
buona buona... adesso arriva lo zio busi e ti porta a giocare
mambu- Utente... preoccupante >10.000 Post
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Re: Correva l'anno 1940....
no no l'ultima volta cantò piu' che parlo' ..uhm..diciamo un rapporto 70%-30% ed il bello di quel concerto è stato anche trovare gente davvero delle età piu' diverse, noi matusa e i ragazzini 14enni che azz...le sapevano tutte tutte quelle canzoni
ma le prime due-tre volte che l'ho visto..in periodi diversi diciamo che era uno spasso di parole e tranne che con i Nomadi, mi pare 79 o 80 ...per il resto sempre sentito fior de musicanti con Tempera e Elladone alla batteria....Solo Guccini nel tempo parla un po' meno e canta un po' di piu'


ma le prime due-tre volte che l'ho visto..in periodi diversi diciamo che era uno spasso di parole e tranne che con i Nomadi, mi pare 79 o 80 ...per il resto sempre sentito fior de musicanti con Tempera e Elladone alla batteria....Solo Guccini nel tempo parla un po' meno e canta un po' di piu'

Re: Correva l'anno 1940....
http://www.repubblica.it/spettacoli-e-cultura/2010/06/07/news/compleanno_guccini-4626109/
L'INTERVISTA
I settant'anni di Guccini
"E pensare che non volevo scrivere"
Incontro
con il cantautore che il prossimo 14 giugno festeggia il compleanno.
"Già a 50 anni mi resi conto che mi restava da vivere meno di quanto
avevo vissuto"
dal nostro inviato GINO CASTALDO

Francesco Guccini
PAVANA - Arrivare a Pavana, la leggendaria, il luogo prescelto da
Francesco Guccini per il suo buen retiro, da almeno dieci anni, è
come attraversare una selva di profili scoscesi e strade
morbidamente tortuose. Da lì, Guccini torreggia, settant'anni
portati con orgoglio da montanaro. "Ma attenzione, non li ho mica
ancora compiuti" borbotta col suo burbero sorriso, "manca ancora
qualche giorno al 14 giugno". Nell'ingresso della casa un grande
tavolo contiene di tutto, vecchi fumetti, fogli sparsi, libri,
riviste. Dalla cucina, di sapore antico, si vede una verdissima
valle che degrada con dolcezza: "In fondo questa è la vera
differenza tra me e la maggior parte degli altri cantautori"
spiega, "De André, che era mio coetaneo, veniva dalla buona
borghesia genovese, gli altri comunque da un ambiente cittadino,
urbano, io vengo da qui, dalla campagna, dalla montagna".
A proposito di De André. Eravate legati?
"Sì, avevamo anche progettato di fare qualcosa insieme, magari un
tour, lui voleva, anche se un po' si scherniva, diceva: ma no tu
parli tanto nei concerti, io per niente, ma l'avremmo fatto,
avevamo voglia. Poi i manager che per natura sono sempre più
sospettosi, si misero di traverso. Io Fabrizio l'avevo conosciuto,
a Bologna, nel 1967, avevamo amici comuni, mi ricordo che io gli
cantai Per quando è tardi. Lui invece un po' si vergognava, poi
cantò molto. Da allora ci siamo sempre sentiti, da qualche parte ho
mille lire con la sua firma perché ho vinto una partita di scopa
testa a testa. Lui era più legato ai francesi, a Brassens, io più a
Dylan. Il primo disco, Freewheelin, me lo passò uno dell'Equipe 84,
ma io all'inizio non ero così interessato a scrivere, non ero
neanche iscritto alla Siae. Il primo disco non lo firmai neanche, i
pezzi erano firmati "Pontiak-Verona", Auschwitz era firmata
"Lunero-Vandelli", ma erano tutte mie. Poi le abbiamo corrette, ma
non tanto tempo fa".
I settant'anni arrivano come una campana dolente. Ci si
sente più soli, nel senso che molti amici non ci sono
più?
"Per forza. Da poco è scomparso Renzo Fantini, mio grande amico, è
stato da sempre il mio manager, era carismatico, e poi era onesto,
in un ambiente che diciamo pure non brilla per questa qualità. Lui
fu folgorato come Saulo sulla via di Damasco. All'epoca lavorava
con Nilla Pizzi, Sandro Giacobbe, e per caso Victor Sogliani,
dell'Equipe 84, era il 1975, mi disse 'ma tu ce l'hai un manager?'.
Io no, non ce l'avevo, ma non facevo concerti. Venne Renzo con Bibi
Ballandi, da lì decise di lavorare solo con i cantautori, si separò
da Ballandi, e così cominciò la storia. E comunque già a
cinquant'anni mi resi conto tragicamente che gli anni che mi
restavano da vivere erano meno di quelli avevo già vissuto,
figurarsi ora. Ma non ci penso tanto, solo quando sento dei limiti.
L'altro giorno sono andato al mulino, era la casa dei miei nonni
dove abitavo da piccolo, c'è una mulattiera che scende giù,
guardavo i sassi, attento a non inciampare. C'è il fiume, una volta
lo passavo saltando di sasso in sasso, ora certo no. C'è anche il
lago, d'estate si stava là, lo attraversavo tutto e tornavo
indietro, ora faccio sì e no cinque metri, ma ancora mi tuffo,
anche se l'acqua è gelida. Però notavo una cosa, da giovane facevo
i concerti seduto, ora li faccio in piedi, sono proprio un
coglione..."
E perché da seduto, un tempo?
"Perché ero abituato a non fare concerti veri e propri, ho
cominciato a suonare in pubblico all'osteria delle Dame, quindi
stavo seduto, poi arrivò Flaco, eravamo solo in due, e stavamo
seduti".
Vecchioni ha scritto che la sostanza delle sue canzoni è il
dubbio.
"Non sempre, ma è vero che nelle mie canzoni ci sono molte domande,
ma non in tutte, vedi La locomotiva. Poi sì, in canzoni come Il
pensionato, e Shomér Ma Mi Lailah, un inno al dubbio. Di certo ora
so solo che non sono più giovane. Ho delle canzoni nuove, una è
l'ennesima Canzone di notte, la numero 4, credo, e lì un po' parlo
dell'età. L'anno scorso feci un concerto a Montalcino, il 13
giugno, la sera dopo festeggiammo, presi la parola per un brindisi,
dissi: 'A una persona nata il 14 giugno che nessuno
dimenticherà...'. Tutti pensavano che parlassi di me, e invece
conclusi: 'a Che Guevara, che è nato il mio stesso giorno'".
Dopo 45 anni è cambiata la sua visione della
musica?
"No, io la vedo ancora così la canzone: un signore che si mette lì,
ha delle idee per la testa e vuole manifestarle. Poi per carità ci
sono prodotti artigianali ottimi, ma io parlo delle canzoni dei
cantautori. Oggi sento molte canzoni, non dico brutte, ma inutili,
che forse è peggio. Tempo fa dissi dei talent che in mancanza di
altro poteva essere un'occasione per emergere, e tutti a dire:
'ecco Guccini apprezza questi programmi'. Mica vero, le case
discografiche sono in crisi, ma pensa che io il primo disco Folk
beat n.1, l'ho fatto nel 1966, ma il primo di un certo successo è
stato Radici del 1972 e in mezzo ci sono stati altri tre long
playing. Ora sembra essere tornati agli anni Cinquanta, c'erano
belle voci, ma i testi a volte erano ridicoli, ora c'è più abilità,
arrivano più preparati, ma non c'è niente dentro. Paoli anche
quando cantava Il cielo in una stanza si sentiva che c'era qualcosa
dietro, anche se era una canzone d'amore, De Andrè fece delle altre
cose, ironiche, serie, io cantavo Auschwitz....
Ricorda quando l'ha incisa?
"Certo. C'erano ancora i tecnici col camice bianco, venne fuori
questo signore anziano, o almeno mi sembrava allora, avrà avuto
neanche 50 anni, mi disse: 'senta ma è lei che ha fatto questa
canzone? Bene le do un consiglio, se vuole continuare a fare questo
mestiere, allora cambi genere che con questa roba andrà poco
lontano'".
- I settant'anni di Guccini "E …
L'INTERVISTA
I settant'anni di Guccini
"E pensare che non volevo scrivere"
Incontro
con il cantautore che il prossimo 14 giugno festeggia il compleanno.
"Già a 50 anni mi resi conto che mi restava da vivere meno di quanto
avevo vissuto"
dal nostro inviato GINO CASTALDO

Francesco Guccini
PAVANA - Arrivare a Pavana, la leggendaria, il luogo prescelto da
Francesco Guccini per il suo buen retiro, da almeno dieci anni, è
come attraversare una selva di profili scoscesi e strade
morbidamente tortuose. Da lì, Guccini torreggia, settant'anni
portati con orgoglio da montanaro. "Ma attenzione, non li ho mica
ancora compiuti" borbotta col suo burbero sorriso, "manca ancora
qualche giorno al 14 giugno". Nell'ingresso della casa un grande
tavolo contiene di tutto, vecchi fumetti, fogli sparsi, libri,
riviste. Dalla cucina, di sapore antico, si vede una verdissima
valle che degrada con dolcezza: "In fondo questa è la vera
differenza tra me e la maggior parte degli altri cantautori"
spiega, "De André, che era mio coetaneo, veniva dalla buona
borghesia genovese, gli altri comunque da un ambiente cittadino,
urbano, io vengo da qui, dalla campagna, dalla montagna".
A proposito di De André. Eravate legati?
"Sì, avevamo anche progettato di fare qualcosa insieme, magari un
tour, lui voleva, anche se un po' si scherniva, diceva: ma no tu
parli tanto nei concerti, io per niente, ma l'avremmo fatto,
avevamo voglia. Poi i manager che per natura sono sempre più
sospettosi, si misero di traverso. Io Fabrizio l'avevo conosciuto,
a Bologna, nel 1967, avevamo amici comuni, mi ricordo che io gli
cantai Per quando è tardi. Lui invece un po' si vergognava, poi
cantò molto. Da allora ci siamo sempre sentiti, da qualche parte ho
mille lire con la sua firma perché ho vinto una partita di scopa
testa a testa. Lui era più legato ai francesi, a Brassens, io più a
Dylan. Il primo disco, Freewheelin, me lo passò uno dell'Equipe 84,
ma io all'inizio non ero così interessato a scrivere, non ero
neanche iscritto alla Siae. Il primo disco non lo firmai neanche, i
pezzi erano firmati "Pontiak-Verona", Auschwitz era firmata
"Lunero-Vandelli", ma erano tutte mie. Poi le abbiamo corrette, ma
non tanto tempo fa".
I settant'anni arrivano come una campana dolente. Ci si
sente più soli, nel senso che molti amici non ci sono
più?
"Per forza. Da poco è scomparso Renzo Fantini, mio grande amico, è
stato da sempre il mio manager, era carismatico, e poi era onesto,
in un ambiente che diciamo pure non brilla per questa qualità. Lui
fu folgorato come Saulo sulla via di Damasco. All'epoca lavorava
con Nilla Pizzi, Sandro Giacobbe, e per caso Victor Sogliani,
dell'Equipe 84, era il 1975, mi disse 'ma tu ce l'hai un manager?'.
Io no, non ce l'avevo, ma non facevo concerti. Venne Renzo con Bibi
Ballandi, da lì decise di lavorare solo con i cantautori, si separò
da Ballandi, e così cominciò la storia. E comunque già a
cinquant'anni mi resi conto tragicamente che gli anni che mi
restavano da vivere erano meno di quelli avevo già vissuto,
figurarsi ora. Ma non ci penso tanto, solo quando sento dei limiti.
L'altro giorno sono andato al mulino, era la casa dei miei nonni
dove abitavo da piccolo, c'è una mulattiera che scende giù,
guardavo i sassi, attento a non inciampare. C'è il fiume, una volta
lo passavo saltando di sasso in sasso, ora certo no. C'è anche il
lago, d'estate si stava là, lo attraversavo tutto e tornavo
indietro, ora faccio sì e no cinque metri, ma ancora mi tuffo,
anche se l'acqua è gelida. Però notavo una cosa, da giovane facevo
i concerti seduto, ora li faccio in piedi, sono proprio un
coglione..."
E perché da seduto, un tempo?
"Perché ero abituato a non fare concerti veri e propri, ho
cominciato a suonare in pubblico all'osteria delle Dame, quindi
stavo seduto, poi arrivò Flaco, eravamo solo in due, e stavamo
seduti".
Vecchioni ha scritto che la sostanza delle sue canzoni è il
dubbio.
"Non sempre, ma è vero che nelle mie canzoni ci sono molte domande,
ma non in tutte, vedi La locomotiva. Poi sì, in canzoni come Il
pensionato, e Shomér Ma Mi Lailah, un inno al dubbio. Di certo ora
so solo che non sono più giovane. Ho delle canzoni nuove, una è
l'ennesima Canzone di notte, la numero 4, credo, e lì un po' parlo
dell'età. L'anno scorso feci un concerto a Montalcino, il 13
giugno, la sera dopo festeggiammo, presi la parola per un brindisi,
dissi: 'A una persona nata il 14 giugno che nessuno
dimenticherà...'. Tutti pensavano che parlassi di me, e invece
conclusi: 'a Che Guevara, che è nato il mio stesso giorno'".
Dopo 45 anni è cambiata la sua visione della
musica?
"No, io la vedo ancora così la canzone: un signore che si mette lì,
ha delle idee per la testa e vuole manifestarle. Poi per carità ci
sono prodotti artigianali ottimi, ma io parlo delle canzoni dei
cantautori. Oggi sento molte canzoni, non dico brutte, ma inutili,
che forse è peggio. Tempo fa dissi dei talent che in mancanza di
altro poteva essere un'occasione per emergere, e tutti a dire:
'ecco Guccini apprezza questi programmi'. Mica vero, le case
discografiche sono in crisi, ma pensa che io il primo disco Folk
beat n.1, l'ho fatto nel 1966, ma il primo di un certo successo è
stato Radici del 1972 e in mezzo ci sono stati altri tre long
playing. Ora sembra essere tornati agli anni Cinquanta, c'erano
belle voci, ma i testi a volte erano ridicoli, ora c'è più abilità,
arrivano più preparati, ma non c'è niente dentro. Paoli anche
quando cantava Il cielo in una stanza si sentiva che c'era qualcosa
dietro, anche se era una canzone d'amore, De Andrè fece delle altre
cose, ironiche, serie, io cantavo Auschwitz....
Ricorda quando l'ha incisa?
"Certo. C'erano ancora i tecnici col camice bianco, venne fuori
questo signore anziano, o almeno mi sembrava allora, avrà avuto
neanche 50 anni, mi disse: 'senta ma è lei che ha fatto questa
canzone? Bene le do un consiglio, se vuole continuare a fare questo
mestiere, allora cambi genere che con questa roba andrà poco
lontano'".
Re: Correva l'anno 1940....
http://www.viafabbri43.net/default.asp
volevo metterla in spoiler, la biografia, ma non funziona uff
la Biografia
Francesco Guccini nasce a Modena, in via Domenico Cucchiari 22, il 14 giugno del 1940. Il 10 giugno, quattro giorni prima, l'Italia fascista trascinava un intero paese in guerra: è così che Ferruccio Guccini fu costretto a partire per il fronte. «Siccome cominciavano a essere razionati i generi alimentari», la madre di Francesco, Ester Prandi, decide di trasferirsi a Pàvana - ridente località dell'Appennino pistoiese - nella casa dei nonni paterni, dove «almeno il mangiare sarebbe stato assicurato» [p. 11].
Guccini oggi ricorda l'atmosfera pavanese che tanto faceva a pugni con quella tetra della guerra: «rimasi in quel vecchio e bellissimo mulino per i primi cinque anni della mia vita, ricevendo l'imprinting pavanese di cui parlo spesso. Lì imparai a parlare, mangiare, camminare, osservare, ridere, piangere, desiderare» [p. 11].
Cinque anni più tardi, nel 1945, Francesco e la sua famiglia tornano a Modena, dove il padre, uscito dal fronte nell'agosto di quell'anno, riprende il lavoro di impiegato alle Poste. «Non fu un grande ritorno, per me. Io riuscivo a sopportare la monotonia di Modena solo pensando che prima o poi sarei tornato al mulino» [p. 20]. Dell'esilio modenese Guccini canterà in Piccola Città: come non ricordare i "giochi consumati dentro al Florìda"? Un pezzo d'infanzia di Francesco, ricordo forse dei giochi da indiani e cow-boy o delle "imberbi grazie" che una sua amichetta gli mostrava.
Dopo le scuole elementari e medie, studia alle magistrali «perché era il liceo dei poveri e degli indecisi.» [p. 24], diplomandosi nel 1958. Ma già nel 1957, a 17 anni, dopo aver imparato l'armonica a bocca da autodidatta e la chitarra con l'aiuto di un certo Celestino (un falegname di Porretta improvvisatosi liutaio per cinquemila lire), Francesco mette su il suo primo "complesso": «Pier Farri, che era il più ricco, scelse la batteria; io, che ero il più povero, mi gettai sulla chitarra. Victor Sogliani disse che avrebbe suonato il sassofono, Pierino il contrabbasso e in più c'erano altre due chitarre, tanto per esagerare. [...] Guardavo i film di Elvis Presley e, come facevano in molti, mi mettevo davanti allo specchio e cercavo di imitarne le movenze. Cominciai a non separarmi più dalla chitarra perché la differenza tra un Guccini con chitarra e un Guccini senza chitarra era evidente: il secondo non aveva nessuna possibilità di avere delle ragazze.» [p. 32]. Nascevano così gli "Hurricanes", poi "Snakers".
A soli 19 anni (è il 1959) e con il diploma in tasca, Guccini trova lavoro come istitutore in un collegio di Pesaro, ma si tratta di un'esperienza breve e deludente: viene infatti licenziato dopo appena un mese e mezzo. Non vanno meglio i contemporanei studi universitari; il primo anno, con il passaggio da Modena a Bologna, è infatti un fallimento: un solo esame sostenuto. «Non sapevo nemmeno da dove si cominciasse per preparare un esame. Fu solo dopo il militare [...] che la mia vita universitaria assunse un senso. E fu lì, durante il militare, che scoprii Borges e Umberto Eco. [...] Ed è sempre lì che conobbi il persiano, ovvero Omar Al Khayyam, un poeta del 1300 di cui parla spesso Borges.» [p. 27].
Un passo indietro: di ritorno da Pesaro, «dopo l'infelice esperienza come istitutore e prima della naia» [p. 35], Guccini lavora per due anni per la "Gazzetta dell'Emilia", con uno stipendio di ventimila lire al mese per un impegno in redazione di quasi dodici ore al giorno. Un periodo faticoso ma ispiratore, che Francesco ricorda con gioia e a cui mise termine per una questione di principio: «lasciai la Gazzetta quando, dopo due settimane di vacanza, scoprii che non me le avevano conteggiate sulla busta paga. Andai dall'economo per chiedere spiegazioni. E lui disse: 'Niente lavoro, niente paga'. Incontrai Alfio dell'Equipe 84, che stava cercando un chitarrista cantante. Decisi di saltare il fosso. Per fortuna.» [p. 35]. Con Alfio ed altri musicisti - tra cui Victor Sogliani - Guccini forma una band: si chiamerà, dapprima, "Marinos" (dal nome di uno dei membri, il pianista Marino Salardini) e poi "Gatti". Suonano tutta l'estate del 1961 alle terme di Sassuolo e nell'inverno vengono ingaggiati perfino in Svizzera, vicino a Basilea. I Gatti «per quell'occasione furono ribattezzati e diventarono "I Fusti all'italiana". Una piccola concessione ai nostri connazionali all'estero. Fu quella l'unica volta in cui cambiammo nome al complesso. Ci pagarono un'esagerazione: dodicimila lire a testa, una cifra da ultimo dell'anno.» [p. 42].
Proprio nel 1961 Francesco si trasferisce con la famiglia a Bologna, in Via Massarenti, «a due passi da Via Paolo Fabbri» [p. 44]. L'anno dopo parte per il militare, con tappe a Lecce, Roma e Trieste. Si tratta di un'esperienza positiva per Francesco, il quale, prima di partire, aveva scritto «un po' per pudore un po' per vergogna» [p. 51], "L'antisociale", "La ballata degli annegati" e "Venerdì santo", canzoni che egli stesso definisce "tentativi".
Nella sua maturazione musicale e artistica, al ritorno dal militare, risultano decisive alcune «diete musicali. Importante fu il Cantacronache di Fausto Amodei, Sergio Liberovici e Michele Straniero, che mi introdusse nel mondo delle canzoni popolari e anarchiche» [p. 51].
Forte di questo "incontro", Francesco riprende le sue esibizioni con un gruppo di cui fa parte anche il poeta Adriano Spatola. E intanto riprende a frequentare l'università. "Fingendo di studiare, con delle amiche che fingevano di studiare anche loro" all'Osteria dei Poeti, sfondo de L'ubriaco. Con vecchi e nuovi amici il ritrovo preferito è proprio quell'osteria, senza dimenticare lo storico bar "Grande Italia" e "La Grondaia".
Bisogna aspettare il 1963 per il secondo esame universitario: Storia medievale. «Il docente era il fratello di Romano Prodi, l'ex Presidente del Consiglio. Guardò il libretto e vide che l'esame precedente era Filologia romanza, anno 1959. E prima di darmi 28, sorrise ironicamente e disse, riferito al lasso di tempo tra i due esami: 'Vedo che l'ha preparato bene...'. Poi, altri due esami a giugno» [p. 56]. Alla fine dei giochi, pur dando tutti gli esami, non presenterà mai la tesi di laurea.
Dal 1965, tuttavia, grazie all'interessamento del suo professore d'inglese - Rizzardi - viene assunto al Dickinson College, sede distaccata di Bologna dell'Università della Pennsylvania. Lascerà tale incarico (ricoperto in realtà per il solo mese di settembre) vent'anni più tardi. Così "il maestrone" ricorda quell'esperienza: «Gli inizi furono bellissimi. A parte la sensazione elettrizzante che dà il poter insegnare, c'era anche un altro aspetto da non sottovalutare: io e gli studenti eravamo quasi coetanei. 25 anni io, una ventina loro. Con il passare degli anni, le cose cambiarono sempre di più e il divertimento diminuì. Nel 1985 lasciai.» [p. 57].
Sotto l'influenza di Bob Dylan, Guccini scrive altri tre pezzi: è il 1964 e nascono Auschwitz, È dall'amore che nasce l'uomo e Noi non ci saremo. Non iscritto alla SIAE, questi ed i precedenti testi vengono sistematicamente depositati da altri autori: emblematico è il caso di Auschwitz, depositata da Maurizio Vandelli e Iller Pattacini (in arte Lunero), e solo da pochi anni tornata in possesso del vero autore.
La brutta esperienza con l'Equipe induce Guccini ad iscriversi alla SIAE: Dio è morto è così la prima canzone a comparire con la sua firma. Interpretata dai Nomadi, viene censurata dalla Rai ma ottiene «l'assenso della Radio Vaticana e dello stesso Paolo VI, che definisce il testo un lodevole esempio di esortazione alla pace e al ritorno a giusti e sani principi morali.» [p. 63].
Il successo di Dio è morto procura a Guccini un contratto editoriale in esclusiva con la Emi-Voce del Padrone, con un compenso iniziale di ottantamila lire, presto aumentato a cento e quindi a duecento. Propio per la Emi incide il suo primo 33 giri, Folk beat N.1 ed all'ultimo momento viene inclusa nel disco In morte di S.F. (nota anche con il titolo Canzone per un'amica), composta in quei giorni in memoria di un'amica morta in un incidente stradale. Nonostante il balbettante risultato delle vendite, grazie a Caterina Caselli e Giorgio Gaber, Guccini fa il suo esordio in TV cantando Auschwitz: è il 5 maggio 1967. Dopo aver registrato un 45 giri ed il suo secondo album (Due anni dopo), nel gennaio del 1970 Francesco parte per gli Stati Uniti, forte della curiosità di vedere quel paese che aveva conosciuto attraverso i libri ma, soprattutto, per raggiungere Eloise Dunn, una sua allieva al Dickinson College con la quale aveva intrecciato una relazione sentimentale (parallela alla "relazione universitaria" con Roberta). Il viaggio è una vera e propria delusione: degli americani in genere lo infastidiscono certi approcci linguistici che rasentano l'ineducazione; coi familiari di Eloise (con la madre, soprattutto) entra ben presto in aperto conflitto. Insomma: «l'America era meglio immaginarla che vederla» [p. 71], pensa Guccini. E torna a casa. Da quell'esperienza nasce L'orizzonte di K.D., «dove K.D. sono le iniziali di Karen Dunn, sorella di Eloise. Karen, in realtà, non c'entrava niente. Per pudore o per orgoglio non volli indirizzare la canzone a Eloise, o meglio la indirizzai a lei fingendo di parlare a un'altra. Mi feci inoltre crescere la barba lunga e i capelli ancora più lunghi. [...] Di quei tempi mi resta la barba. Non l'ho più fatta, da allora» [p. 72].
Appena rientrato, si trasferisce in Via Paolo Fabbri 43 con la futura moglie Roberta. Nell'ottobre del 1970 esce L'isola non trovata, alla cui registrazione collaborano come musicisti Vince Tempera, Ares Tavolazzi ed Ellade Bandini, ovvero il nucleo originario di quello che ancor oggi è il gruppo di Francesco. Nell'album, pieno di riferimenti letterari (da Gozzano a Salinger), viene inclusa anche Un altro giorno è andato, pubblicata originariamente come singolo. Il 1972 è invece l'anno del quarto album (Radici), quello della consacrazione. Memorabile e suggestiva resta senza dubbio La locomotiva, composta in mezz'ora ed ispirata da un fatto realmente accaduto: era il 20 luglio del 1893 quando l’anarchico Pietro Rigosi – macchinista – mandò a schiantare una locomotiva contro una vettura in sosta nei pressi della stazione di Bologna. L'enorme fama di questa canzone non oscura peraltro la bellezza di altri brani: da La canzone dei dodici mesi a Piccola città, da Incontro a Il vecchio e il bambino.
Dopo l'intermezzo "comico-giullaresco" di Opera buffa (1973), che Guccini oggi liquida come «un disco inventato e da me non voluto» [p. 84], nel 1974 esce Stanze di vita quotidiana che Francesco, anche per situazioni verificatesi in fase di registrazione, classifica come «il disco che più ho odiato nella mia vita» [p. 87], nonostante contenga capolavori assoluti quali Canzone delle osterie di fuori porta e Canzone per Piero. Proprio Stanze di vita quotidiana ricevette un duro j'accuse sulle pagine di "Gong" firmato da Riccardo Bertoncelli, lungimirante nel liquidare Guccini con un secco "è un artista finito, a cui non resta più nulla da dire".
Ben altra considerazione, da parte dello stesso cantautore, va al successivo Via Paolo Fabbri 43 (1976), «bello ed entusiasmante, ancora oggi mi piace moltissimo» [p. 89]. La trama della canzone che dà il titolo all'album è tessuta su citazioni della vita quotidiana dello stesso Guccini e impreziosita dal riferimento a personaggi fondamentali della cultura contemporanea (da Borges a Barthes). Vi sono inoltre citate «tre eroine della canzone italiana: due evidenti (Alice e Marinella), una più nascosta (la piccola infelice, cioè Lilly). Frecciatine rivolte a De Gregori, De André, Venditti. Mi sembrava avessero accettato più facilmente di me anche gli aspetti negativi di questo mestiere. Io ho impiegato più tempo. Infatti i miei eroi eran poveri e si chiedevano troppi perché» [p. 95]. Si tratta di una canzone vera, sentita, a cui Francesco è ovviamente legato; come è legato - per sua esplicita ammissione - a L'avvelenata ("tanto ci sarà sempre, lo sapete, un musico fallito, un pio, un teorete, un Bertoncelli, un prete, a sparare cazzate) e a Il pensionato.
Amerigo, pubblicato nel 1978, è già il suo ottavo album. Della canzone omonima, dedicata ad Enrico, un suo prozio emigrato in America e morto nel 1963, Guccini afferma, enfaticamente ma con sincerità, che «è la più bella, completa, finita, ricca di cose e forse una delle più belle che io abbia mai scritto» [p. 101], un confronto-contrasto tra l'America reale di "Amerigo" (fatta di lavoro e fatica, di giorni duri e difficili, di sudore e antracite) e quella di Francesco, «sognata a Pàvana dal mulino e da bambino» [p. 101]: due «immagini che non si sovrappongono se non nel finale, quando capisco che quell'uomo era il mio volto, era il mio specchio. Amerigo ero io» [p. 101].
Nello stesso anno, dall'unione con la nuova compagna, Angela, nasce la prima ed unica figlia di Guccini: la Teresa cantata in Culodritto ed E un giorno.... Non prima di Album concerto, il live realizzato con i Nomadi nel 1979, nel 1981 esce Metropolis, disco non troppo amato dall'autore, eppure molto denso e al tempo stesso sognante.
Due anni più tardi tocca a Guccini, l'undicesimo. Fra le sei canzoni che compongono l'album, Autogrill è definita dallo stesso autore come quella «più misteriosa in assoluto [...], intravista e non vissuta, venuta fuori chissà come. Nacque a Pàvana ed è il resoconto di ciò che non fu mai, ovvero un sogno mai avverato» [p. 119]. Sull'album stesso, dice: «Guccini è per me l'impossibilità di viaggiare. Puoi raggiungere ogni parte del mondo in poche ore ma sei sempre condannato a essere turista. Per viaggiare e al tempo stesso vivere bisognerebbe avere sei o sette vite» [p. 120]. Nel 1984 Francesco partecipa al grande concerto di Piazza Maggiore, a Bologna, cui prendono parte altri artisti, dai Nomadi a Paolo Conte, da Giorgio Gaber all'Equipe 84. «Parte di quel concerto finì su Fra la Via Emilia e il West. Due volumi recentemente stampati anche su CD» [p. 123].
Dopo tre anni fuori dai riflettori, esce nel 1987 Signora Bovary: è l'album di Culodritto e Van Loon dedicate, rispettivamente, alla figlia ed al padre scomparso. Solo un anno dopo uscirà ...quasi come Dumas..., occasione per rispolverare vecchie canzoni.
Personaggio eclettico e poliedrico, Guccini chiude gli anni ottanta (è il 1989) affacciandosi anche al mondo dell'editoria: pubblica presso Feltrinelli Cròniche epafàniche cui seguirà nel 1993, quale suo «seguito naturale» [p. 127], Vacca d'un cane, edito ancora da Feltrinelli.
Il 1990 (anno d'uscita di Quello che non...) regala agli appassionati di musica veri capolavori. «Battezzai gli anni '90 con la negazione di Quello che non.... Una negazione che tutti hanno definito montaliana e che invece è, più semplicemente, lo sfogo di uno che scopre di vivere con una persona che non lo considera più molto. Nel brano che dà il titolo all'album, la coppia non esiste, è dissolta, sparita, non è più niente. L'io narrante si rivolge a un'interlocutrice, come spesso accade nelle mie canzoni. La dissoluzione del rapporto emerge da una serie di immagini secche che, in apparenza, non hanno molto a che fare con il rapporto di coppia e che si sovrappongono l'una all'altra. Era un momento mio di grandi incertezze. Nonostante si trattasse di una questione privata, sotto c'era anche, per vie oblique, tutto il malessere delle sinistre, in evidente crisi d'identità. Credo che entrambi i disamori si siano influenzati a vicenda» [p. 129]. Il secondo brano, Canzone delle domande consuete, viene premiata dal Club Tenco di Sanremo come "canzone dell'anno".
Bisognerà aspettare altri quattro anni per ascoltare un nuovo LP del "maestrone": solo nel 1994, infatti, esce Parnassius Guccinii, disco «un po' ruvido» [p. 135] a detta dello stesso cantautore che ne spiega anche l'origine del titolo: «nel 1993 arriva la farfalla. O meglio, la farfalla arriva molto prima, ma solo in quell'anno viene accostata al mio nome. Giovanni Sala, un entomologo dilettante, scoprì una nuova farfalla nell'appennino tosco-emiliano e decise di chiamarla Parnassius Mnemosyne Guccinii in mio onore e per gratitudine, essendo abituale consumatore dei miei dischi e della mia musica. Questa cosa mi fece molto piacere, un po' perché la farfalla in questione era una sorta di lepidottero robusto e montanaro, non quindi una di quelle farfalle bellissime e un po' fighette che si vedono in giro; un po' perché mi gratificava l'idea di aver dato un nome a qualcosa che sarebbe durata per sempre. Non so, infatti, se la mia musica abbia questa facoltà» [p. 135]. Il disco si apre con Canzone per Silvia, Silvia Baraldini, «la cui storia, indipendentemente dalle idee politiche e dal giudizio di colpa, deve far riflettere chiunque abbia a cuore i diritti umani» [p. 135]. Il 1996 è invece l'anno di D'amore di morte e di altre sciocchezze, nel quale, oltre a Cirano e Quattro stracci, salta all'orecchio Lettera, un brano dedicato a due amici scomparsi: Bonvi e Victor Sogliani.
Passano dodici mesi e Francesco fa il suo esordio nella letteratura noir, segno di una continua sperimentazione: esce Macaronì, un giallo scritto a quattro mani con Loriano Macchiavelli e subito tradotto in tedesco e in francese.
Nel 1998, per celebrare i trent'anni di attività, la Emi pubblica raccolte di artisti della sua etichetta: in questo contesto vede la luce il doppio album Guccini live collection, che non è opera del cantautore, il quale precisa: «non ho seguito tutte le fasi di lavorazione, ho semplicemente dato il mio assenso alla Emi affinché lo pubblicasse. La prova che io non c'entro è data da quel terribile errore ortografico in copertina: nel titolo "Un'altro giorno è andato", "un altro" è scritto con l'apostrofo. Mi sono indignato assai. [...] Tutto, dalla grafica alla copertina alla scelta delle canzoni, è stato fatto con il mio assenso, ma senza di me» [p. 140].
Non pago del successo di Macaronì, sempre nel 1998 e sempre in collaborazione con Macchiavelli, pubblica Un disco dei Platters e dà inoltre alle stampe il suo atteso Dizionario del dialetto di Pàvana (Nuèter, Pavana).
Dopo I giorni cantati (1979) e Musica per vecchi animali (1989), Guccini torna a calcare le scene di Hollywood: convinto dall'amico Luciano Ligabue partecipa al film Radio Freccia, nella parte di «un barista scoglionato, burbero ma buono» [p. 147].
Il 2000 è l'anno del ritorno alla musica: esce Stagioni, che da Paolo Jachia, forse il più attento guccinologo in circolazione, è stato definito «una summa delle tematiche che accompagnano tutta la produzione artistica e intellettuale di Francesco: l'esistenzialismo, la polemica contro tutte le ingiustizie e i falsi ideali, il vivere giornaliero e lo scorrere inesorabile del tempo, la rabbia e l'indignazione per la propria impotenza a cambiare le cose e la vita, e poi l'amore, visto come specchio di se stessi, delle proprie belle illusioni e anche delle proprie fragilità, e ancora la fantasia e l'ironia e l'umorismo come baluardo contro l'inutile follia realista degli uomini integrati al potere, e poi la coerenza con la propria storia e le proprie radici, la coscienza dell'appartenere, in senso profondo, alla terra e al popolo, e il rifiuto della cultura piccolo borghese e l'adesione profonda al grande sogno anarchico, libertario, democratico, comunista (l'Utopia)» [P. Jachia: Francesco Guccini, Editori Riuniti, Roma 2002, p. 183].
Altre due fatiche letterarie a quattro mani con Loriano Macchiavelli (Questo sangue che impasta la terra e Lo spirito e altri briganti) ed una raccontando la Bologna di quarant'anni fa in Cittanòva Blues, precedono l'ultimo album in ordine cronologico di Francesco Guccini: Ritratti. Un album musicale, lirico e coinvolgente come pochi altri. Solo un anno più tardi la EMI sceglie di pubblicare il live Anfiteatro, in edizione CD e DVD, registrato nella splendida cornice dell'Anfiteatro di Cagliari. Sempre la EMI, per festeggiare i 40 anni d'attività discografica di Guccini, dopo Folk beat n.1 del 1966, fa uscire una corposa raccolta gucciniana: The Platinum Collection, 234 minuti di musica che è anche un pezzo di storia orale.
In molti, oggi, si chiedono quale sarà l'anno buono per il prossimo album inedito di Francesco, dimenticando che Pàvana impone i suoi ritmi, costanti, mai frenetici, sempre fertili. Di certo si sa che sono in divenire due libri (un romanzo con il solito Macchiavelli ed una raccolta di racconti ispirati da viaggi in terre lontane), oltre che le nuove canzoni dell'album (Ieri pomeriggio, Su in collina, Canzone di Notte n. 4).
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Se Fabrizio De André è stato un poeta della canzone.
Se Francesco De Gregori è un intellettuale con la chitarra.
Guccini è la sintesi di entrambi.
Guccini non ha di De André l'immediatezza, la folgorazione.
Non ha il ragionamento distaccato di De Gregori.
Ma ha tutto il resto.
Ironia, senso della storia, capacità di indignarsi, impegno politico vissuto con sospetto, curiosità verso il mondo.
Roberto Cotroneo, giornalista e scrittore
Sapeste quante scopate che ci ho dato sulla schiena
quando invece di studiare si metteva a suonare in camera sua con quelli
dell'Equipe 84?
Ester Prandi, la sua mamma
Se dovessi azzardare, in due parole, qual è il
denominatore comune dei testi di Guccini direi che è la gioia
dell'impegno, la gioia di combattere le ingiustizie, la gioia di non
essere come quell'Italia egoista e volgare vorrebbe che fossimo.
Vincenzo Cerami, giornalista e scrittore
Francesco io lo vedo come un albero, con delle radici solidissime, ben piantate in via Paolo Fabbri 43 o a Pàvana.
Red Ronnie, ex-bancario, ex-cantante, adesso presentatore tv
Di Guccini porto nella memoria le bottiglie. Un
tipo che come lui ha bevuto un Mar Caspio di vino dimostra che l'alcool
non è affatto contrario all'arte.
Stefano Benni, scrittore
La Locomotiva è una delle ballate più belle mai
scritte in Italia. C'è tutto il secolo in sintesi: il mito del
progresso, l'anarchia, i fantasmi e le urgenze di un'epoca pulsante.
Sergio Staino, disegnatore e creatore di Bobo
L'opera di Guccini mi orienta come una mappa piena
di luoghi da scoprire e inventare. L'avevo già intuito quando andai al
primo concerto a Mantova, ne ho avuto la conferma quando mi ha
accompagnato in Argentina: un sedentario come lui è riuscito a
schiudermi il coperchio del mondo.
Patrizio Roversi, comico-viaggiatore
Quella di Guccini è la voce di quello che un tempo si diceva il "movimento". Oggi, semplicemente una voce di gioventù.
E
cioè di granitica coerenza con il proprio linguaggio e pensiero. Nella
sua opera c'è un discorso interminabile: sull'ironia, sull'amicizia,
sulla solidarietà.
Dario Fo, premio Nobel per la letteratura
Nostalgie, amori, senso delle relazioni.
Il sentimento dello scorrere delle cose.
Tutto questo Francesco lo sa raccontare con una grazia speciale.
Sandra Petrignani, scrittrice
Se mi avessero dato venti lire ogni volta che ho
ascoltato "Incontro" mi ci sarei comprato un biglietto aereo da farci
il giro del mondo.
Conosco tutte le canzoni di Guccini a memoria.
Quando
sono andato cercarlo a Pàvana e mi si è dischiuso in tutta la sua
grandezza, è stato come essere davanti alla Madonna di Loreto.
Leonardo Pieraccioni, comico - attore - regista e anche un po' cantautore
Francesco Guccini diventò, per anni e anni, fino
all'università e anche oltre, la colonna sonora di quel mio passato
irrequieto e provinciale, conteso fra i treni rugginosi che mi
portavano verso Bologna e le highways californiane dei miei scrittori
preferiti, che mi portavano, con la fantasia, nel territorio del mito
americano.
Tramite Guccini studiai, per la prima volta seriamente, il greco.
Scoprii che Guccini era un poeta conviviale del ventesimo secolo, come lo erano Alceo e Orazio nei loro tempi.
Pier Vittorio Tondelli, scrittore
Guccini è uno che trent'anni fa, ancora studente,
magro, lungo e squattrinato, era un tormento quotidiano: flipperista
smodato, tutti i santi giorni che Dio manda in terra, era un continuo:
"Dai prestami cento lire che faccio una partitina, vedrai, batto il
record". Era una tassa giornaliera alla quale nessuno degli amici più
affezionati riusciva a sottrarsi, praticamente uno stipendio.
Guido De Maria, il testimone alle sue prime nozze
Guccini è forse il più colto dei cantautori in
circolazione: la sua è poesia dotta, intarsio di riferimenti. Guccini è
un cantore da vaste pianure.
Guccini è omerico, procede per agglomerazione, ha una gran sfacciataggine nell'osare una metafora dietro l'altra.
Umberto Eco, semiologo
E' il solo cantautore che si può ascoltare mentre
uno legge o studia, quindi il solo cantante italiano che si può
ascoltare con l'orecchio del cuore.
Roberto Roversi, poeta
Abbiamo delle nonne in comune io e Guccini. Fa piacere avere tra i parenti un tipo come lui.
Sembra
che non si sia mai allontanato da Pàvana, e racconta storie che hanno
come scenario quei paesaggi che hanno accompagnato anche la mia
infanzia: col cuore e le parole dei poeti.
Enzo Biagi, giornalista
De André era l'unico poeta della canzone d'autore.
Gli altri, me compreso, con l'eccezione forse di Guccini, sono bravi,
non poeti.
Roberto Vecchioni, cantautore e musicologo
Guccini è un contadino
becero dell'Appennino tosco-emiliano che sa raccontare come quei
contadini non si siano scrollati di dosso i costumi dei loro bisnonni.
Vari Extras Audio-Video
http://www.viafabbri43.net/extras.asp
volevo metterla in spoiler, la biografia, ma non funziona uff
la Biografia
Francesco Guccini nasce a Modena, in via Domenico Cucchiari 22, il 14 giugno del 1940. Il 10 giugno, quattro giorni prima, l'Italia fascista trascinava un intero paese in guerra: è così che Ferruccio Guccini fu costretto a partire per il fronte. «Siccome cominciavano a essere razionati i generi alimentari», la madre di Francesco, Ester Prandi, decide di trasferirsi a Pàvana - ridente località dell'Appennino pistoiese - nella casa dei nonni paterni, dove «almeno il mangiare sarebbe stato assicurato» [p. 11].
Guccini oggi ricorda l'atmosfera pavanese che tanto faceva a pugni con quella tetra della guerra: «rimasi in quel vecchio e bellissimo mulino per i primi cinque anni della mia vita, ricevendo l'imprinting pavanese di cui parlo spesso. Lì imparai a parlare, mangiare, camminare, osservare, ridere, piangere, desiderare» [p. 11].
Cinque anni più tardi, nel 1945, Francesco e la sua famiglia tornano a Modena, dove il padre, uscito dal fronte nell'agosto di quell'anno, riprende il lavoro di impiegato alle Poste. «Non fu un grande ritorno, per me. Io riuscivo a sopportare la monotonia di Modena solo pensando che prima o poi sarei tornato al mulino» [p. 20]. Dell'esilio modenese Guccini canterà in Piccola Città: come non ricordare i "giochi consumati dentro al Florìda"? Un pezzo d'infanzia di Francesco, ricordo forse dei giochi da indiani e cow-boy o delle "imberbi grazie" che una sua amichetta gli mostrava.
Dopo le scuole elementari e medie, studia alle magistrali «perché era il liceo dei poveri e degli indecisi.» [p. 24], diplomandosi nel 1958. Ma già nel 1957, a 17 anni, dopo aver imparato l'armonica a bocca da autodidatta e la chitarra con l'aiuto di un certo Celestino (un falegname di Porretta improvvisatosi liutaio per cinquemila lire), Francesco mette su il suo primo "complesso": «Pier Farri, che era il più ricco, scelse la batteria; io, che ero il più povero, mi gettai sulla chitarra. Victor Sogliani disse che avrebbe suonato il sassofono, Pierino il contrabbasso e in più c'erano altre due chitarre, tanto per esagerare. [...] Guardavo i film di Elvis Presley e, come facevano in molti, mi mettevo davanti allo specchio e cercavo di imitarne le movenze. Cominciai a non separarmi più dalla chitarra perché la differenza tra un Guccini con chitarra e un Guccini senza chitarra era evidente: il secondo non aveva nessuna possibilità di avere delle ragazze.» [p. 32]. Nascevano così gli "Hurricanes", poi "Snakers".
A soli 19 anni (è il 1959) e con il diploma in tasca, Guccini trova lavoro come istitutore in un collegio di Pesaro, ma si tratta di un'esperienza breve e deludente: viene infatti licenziato dopo appena un mese e mezzo. Non vanno meglio i contemporanei studi universitari; il primo anno, con il passaggio da Modena a Bologna, è infatti un fallimento: un solo esame sostenuto. «Non sapevo nemmeno da dove si cominciasse per preparare un esame. Fu solo dopo il militare [...] che la mia vita universitaria assunse un senso. E fu lì, durante il militare, che scoprii Borges e Umberto Eco. [...] Ed è sempre lì che conobbi il persiano, ovvero Omar Al Khayyam, un poeta del 1300 di cui parla spesso Borges.» [p. 27].
Un passo indietro: di ritorno da Pesaro, «dopo l'infelice esperienza come istitutore e prima della naia» [p. 35], Guccini lavora per due anni per la "Gazzetta dell'Emilia", con uno stipendio di ventimila lire al mese per un impegno in redazione di quasi dodici ore al giorno. Un periodo faticoso ma ispiratore, che Francesco ricorda con gioia e a cui mise termine per una questione di principio: «lasciai la Gazzetta quando, dopo due settimane di vacanza, scoprii che non me le avevano conteggiate sulla busta paga. Andai dall'economo per chiedere spiegazioni. E lui disse: 'Niente lavoro, niente paga'. Incontrai Alfio dell'Equipe 84, che stava cercando un chitarrista cantante. Decisi di saltare il fosso. Per fortuna.» [p. 35]. Con Alfio ed altri musicisti - tra cui Victor Sogliani - Guccini forma una band: si chiamerà, dapprima, "Marinos" (dal nome di uno dei membri, il pianista Marino Salardini) e poi "Gatti". Suonano tutta l'estate del 1961 alle terme di Sassuolo e nell'inverno vengono ingaggiati perfino in Svizzera, vicino a Basilea. I Gatti «per quell'occasione furono ribattezzati e diventarono "I Fusti all'italiana". Una piccola concessione ai nostri connazionali all'estero. Fu quella l'unica volta in cui cambiammo nome al complesso. Ci pagarono un'esagerazione: dodicimila lire a testa, una cifra da ultimo dell'anno.» [p. 42].
Proprio nel 1961 Francesco si trasferisce con la famiglia a Bologna, in Via Massarenti, «a due passi da Via Paolo Fabbri» [p. 44]. L'anno dopo parte per il militare, con tappe a Lecce, Roma e Trieste. Si tratta di un'esperienza positiva per Francesco, il quale, prima di partire, aveva scritto «un po' per pudore un po' per vergogna» [p. 51], "L'antisociale", "La ballata degli annegati" e "Venerdì santo", canzoni che egli stesso definisce "tentativi".
Nella sua maturazione musicale e artistica, al ritorno dal militare, risultano decisive alcune «diete musicali. Importante fu il Cantacronache di Fausto Amodei, Sergio Liberovici e Michele Straniero, che mi introdusse nel mondo delle canzoni popolari e anarchiche» [p. 51].
Forte di questo "incontro", Francesco riprende le sue esibizioni con un gruppo di cui fa parte anche il poeta Adriano Spatola. E intanto riprende a frequentare l'università. "Fingendo di studiare, con delle amiche che fingevano di studiare anche loro" all'Osteria dei Poeti, sfondo de L'ubriaco. Con vecchi e nuovi amici il ritrovo preferito è proprio quell'osteria, senza dimenticare lo storico bar "Grande Italia" e "La Grondaia".
Bisogna aspettare il 1963 per il secondo esame universitario: Storia medievale. «Il docente era il fratello di Romano Prodi, l'ex Presidente del Consiglio. Guardò il libretto e vide che l'esame precedente era Filologia romanza, anno 1959. E prima di darmi 28, sorrise ironicamente e disse, riferito al lasso di tempo tra i due esami: 'Vedo che l'ha preparato bene...'. Poi, altri due esami a giugno» [p. 56]. Alla fine dei giochi, pur dando tutti gli esami, non presenterà mai la tesi di laurea.
Dal 1965, tuttavia, grazie all'interessamento del suo professore d'inglese - Rizzardi - viene assunto al Dickinson College, sede distaccata di Bologna dell'Università della Pennsylvania. Lascerà tale incarico (ricoperto in realtà per il solo mese di settembre) vent'anni più tardi. Così "il maestrone" ricorda quell'esperienza: «Gli inizi furono bellissimi. A parte la sensazione elettrizzante che dà il poter insegnare, c'era anche un altro aspetto da non sottovalutare: io e gli studenti eravamo quasi coetanei. 25 anni io, una ventina loro. Con il passare degli anni, le cose cambiarono sempre di più e il divertimento diminuì. Nel 1985 lasciai.» [p. 57].
Sotto l'influenza di Bob Dylan, Guccini scrive altri tre pezzi: è il 1964 e nascono Auschwitz, È dall'amore che nasce l'uomo e Noi non ci saremo. Non iscritto alla SIAE, questi ed i precedenti testi vengono sistematicamente depositati da altri autori: emblematico è il caso di Auschwitz, depositata da Maurizio Vandelli e Iller Pattacini (in arte Lunero), e solo da pochi anni tornata in possesso del vero autore.
La brutta esperienza con l'Equipe induce Guccini ad iscriversi alla SIAE: Dio è morto è così la prima canzone a comparire con la sua firma. Interpretata dai Nomadi, viene censurata dalla Rai ma ottiene «l'assenso della Radio Vaticana e dello stesso Paolo VI, che definisce il testo un lodevole esempio di esortazione alla pace e al ritorno a giusti e sani principi morali.» [p. 63].
Il successo di Dio è morto procura a Guccini un contratto editoriale in esclusiva con la Emi-Voce del Padrone, con un compenso iniziale di ottantamila lire, presto aumentato a cento e quindi a duecento. Propio per la Emi incide il suo primo 33 giri, Folk beat N.1 ed all'ultimo momento viene inclusa nel disco In morte di S.F. (nota anche con il titolo Canzone per un'amica), composta in quei giorni in memoria di un'amica morta in un incidente stradale. Nonostante il balbettante risultato delle vendite, grazie a Caterina Caselli e Giorgio Gaber, Guccini fa il suo esordio in TV cantando Auschwitz: è il 5 maggio 1967. Dopo aver registrato un 45 giri ed il suo secondo album (Due anni dopo), nel gennaio del 1970 Francesco parte per gli Stati Uniti, forte della curiosità di vedere quel paese che aveva conosciuto attraverso i libri ma, soprattutto, per raggiungere Eloise Dunn, una sua allieva al Dickinson College con la quale aveva intrecciato una relazione sentimentale (parallela alla "relazione universitaria" con Roberta). Il viaggio è una vera e propria delusione: degli americani in genere lo infastidiscono certi approcci linguistici che rasentano l'ineducazione; coi familiari di Eloise (con la madre, soprattutto) entra ben presto in aperto conflitto. Insomma: «l'America era meglio immaginarla che vederla» [p. 71], pensa Guccini. E torna a casa. Da quell'esperienza nasce L'orizzonte di K.D., «dove K.D. sono le iniziali di Karen Dunn, sorella di Eloise. Karen, in realtà, non c'entrava niente. Per pudore o per orgoglio non volli indirizzare la canzone a Eloise, o meglio la indirizzai a lei fingendo di parlare a un'altra. Mi feci inoltre crescere la barba lunga e i capelli ancora più lunghi. [...] Di quei tempi mi resta la barba. Non l'ho più fatta, da allora» [p. 72].
Appena rientrato, si trasferisce in Via Paolo Fabbri 43 con la futura moglie Roberta. Nell'ottobre del 1970 esce L'isola non trovata, alla cui registrazione collaborano come musicisti Vince Tempera, Ares Tavolazzi ed Ellade Bandini, ovvero il nucleo originario di quello che ancor oggi è il gruppo di Francesco. Nell'album, pieno di riferimenti letterari (da Gozzano a Salinger), viene inclusa anche Un altro giorno è andato, pubblicata originariamente come singolo. Il 1972 è invece l'anno del quarto album (Radici), quello della consacrazione. Memorabile e suggestiva resta senza dubbio La locomotiva, composta in mezz'ora ed ispirata da un fatto realmente accaduto: era il 20 luglio del 1893 quando l’anarchico Pietro Rigosi – macchinista – mandò a schiantare una locomotiva contro una vettura in sosta nei pressi della stazione di Bologna. L'enorme fama di questa canzone non oscura peraltro la bellezza di altri brani: da La canzone dei dodici mesi a Piccola città, da Incontro a Il vecchio e il bambino.
Dopo l'intermezzo "comico-giullaresco" di Opera buffa (1973), che Guccini oggi liquida come «un disco inventato e da me non voluto» [p. 84], nel 1974 esce Stanze di vita quotidiana che Francesco, anche per situazioni verificatesi in fase di registrazione, classifica come «il disco che più ho odiato nella mia vita» [p. 87], nonostante contenga capolavori assoluti quali Canzone delle osterie di fuori porta e Canzone per Piero. Proprio Stanze di vita quotidiana ricevette un duro j'accuse sulle pagine di "Gong" firmato da Riccardo Bertoncelli, lungimirante nel liquidare Guccini con un secco "è un artista finito, a cui non resta più nulla da dire".
Ben altra considerazione, da parte dello stesso cantautore, va al successivo Via Paolo Fabbri 43 (1976), «bello ed entusiasmante, ancora oggi mi piace moltissimo» [p. 89]. La trama della canzone che dà il titolo all'album è tessuta su citazioni della vita quotidiana dello stesso Guccini e impreziosita dal riferimento a personaggi fondamentali della cultura contemporanea (da Borges a Barthes). Vi sono inoltre citate «tre eroine della canzone italiana: due evidenti (Alice e Marinella), una più nascosta (la piccola infelice, cioè Lilly). Frecciatine rivolte a De Gregori, De André, Venditti. Mi sembrava avessero accettato più facilmente di me anche gli aspetti negativi di questo mestiere. Io ho impiegato più tempo. Infatti i miei eroi eran poveri e si chiedevano troppi perché» [p. 95]. Si tratta di una canzone vera, sentita, a cui Francesco è ovviamente legato; come è legato - per sua esplicita ammissione - a L'avvelenata ("tanto ci sarà sempre, lo sapete, un musico fallito, un pio, un teorete, un Bertoncelli, un prete, a sparare cazzate) e a Il pensionato.
Amerigo, pubblicato nel 1978, è già il suo ottavo album. Della canzone omonima, dedicata ad Enrico, un suo prozio emigrato in America e morto nel 1963, Guccini afferma, enfaticamente ma con sincerità, che «è la più bella, completa, finita, ricca di cose e forse una delle più belle che io abbia mai scritto» [p. 101], un confronto-contrasto tra l'America reale di "Amerigo" (fatta di lavoro e fatica, di giorni duri e difficili, di sudore e antracite) e quella di Francesco, «sognata a Pàvana dal mulino e da bambino» [p. 101]: due «immagini che non si sovrappongono se non nel finale, quando capisco che quell'uomo era il mio volto, era il mio specchio. Amerigo ero io» [p. 101].
Nello stesso anno, dall'unione con la nuova compagna, Angela, nasce la prima ed unica figlia di Guccini: la Teresa cantata in Culodritto ed E un giorno.... Non prima di Album concerto, il live realizzato con i Nomadi nel 1979, nel 1981 esce Metropolis, disco non troppo amato dall'autore, eppure molto denso e al tempo stesso sognante.
Due anni più tardi tocca a Guccini, l'undicesimo. Fra le sei canzoni che compongono l'album, Autogrill è definita dallo stesso autore come quella «più misteriosa in assoluto [...], intravista e non vissuta, venuta fuori chissà come. Nacque a Pàvana ed è il resoconto di ciò che non fu mai, ovvero un sogno mai avverato» [p. 119]. Sull'album stesso, dice: «Guccini è per me l'impossibilità di viaggiare. Puoi raggiungere ogni parte del mondo in poche ore ma sei sempre condannato a essere turista. Per viaggiare e al tempo stesso vivere bisognerebbe avere sei o sette vite» [p. 120]. Nel 1984 Francesco partecipa al grande concerto di Piazza Maggiore, a Bologna, cui prendono parte altri artisti, dai Nomadi a Paolo Conte, da Giorgio Gaber all'Equipe 84. «Parte di quel concerto finì su Fra la Via Emilia e il West. Due volumi recentemente stampati anche su CD» [p. 123].
Dopo tre anni fuori dai riflettori, esce nel 1987 Signora Bovary: è l'album di Culodritto e Van Loon dedicate, rispettivamente, alla figlia ed al padre scomparso. Solo un anno dopo uscirà ...quasi come Dumas..., occasione per rispolverare vecchie canzoni.
Personaggio eclettico e poliedrico, Guccini chiude gli anni ottanta (è il 1989) affacciandosi anche al mondo dell'editoria: pubblica presso Feltrinelli Cròniche epafàniche cui seguirà nel 1993, quale suo «seguito naturale» [p. 127], Vacca d'un cane, edito ancora da Feltrinelli.
Il 1990 (anno d'uscita di Quello che non...) regala agli appassionati di musica veri capolavori. «Battezzai gli anni '90 con la negazione di Quello che non.... Una negazione che tutti hanno definito montaliana e che invece è, più semplicemente, lo sfogo di uno che scopre di vivere con una persona che non lo considera più molto. Nel brano che dà il titolo all'album, la coppia non esiste, è dissolta, sparita, non è più niente. L'io narrante si rivolge a un'interlocutrice, come spesso accade nelle mie canzoni. La dissoluzione del rapporto emerge da una serie di immagini secche che, in apparenza, non hanno molto a che fare con il rapporto di coppia e che si sovrappongono l'una all'altra. Era un momento mio di grandi incertezze. Nonostante si trattasse di una questione privata, sotto c'era anche, per vie oblique, tutto il malessere delle sinistre, in evidente crisi d'identità. Credo che entrambi i disamori si siano influenzati a vicenda» [p. 129]. Il secondo brano, Canzone delle domande consuete, viene premiata dal Club Tenco di Sanremo come "canzone dell'anno".
Bisognerà aspettare altri quattro anni per ascoltare un nuovo LP del "maestrone": solo nel 1994, infatti, esce Parnassius Guccinii, disco «un po' ruvido» [p. 135] a detta dello stesso cantautore che ne spiega anche l'origine del titolo: «nel 1993 arriva la farfalla. O meglio, la farfalla arriva molto prima, ma solo in quell'anno viene accostata al mio nome. Giovanni Sala, un entomologo dilettante, scoprì una nuova farfalla nell'appennino tosco-emiliano e decise di chiamarla Parnassius Mnemosyne Guccinii in mio onore e per gratitudine, essendo abituale consumatore dei miei dischi e della mia musica. Questa cosa mi fece molto piacere, un po' perché la farfalla in questione era una sorta di lepidottero robusto e montanaro, non quindi una di quelle farfalle bellissime e un po' fighette che si vedono in giro; un po' perché mi gratificava l'idea di aver dato un nome a qualcosa che sarebbe durata per sempre. Non so, infatti, se la mia musica abbia questa facoltà» [p. 135]. Il disco si apre con Canzone per Silvia, Silvia Baraldini, «la cui storia, indipendentemente dalle idee politiche e dal giudizio di colpa, deve far riflettere chiunque abbia a cuore i diritti umani» [p. 135]. Il 1996 è invece l'anno di D'amore di morte e di altre sciocchezze, nel quale, oltre a Cirano e Quattro stracci, salta all'orecchio Lettera, un brano dedicato a due amici scomparsi: Bonvi e Victor Sogliani.
Passano dodici mesi e Francesco fa il suo esordio nella letteratura noir, segno di una continua sperimentazione: esce Macaronì, un giallo scritto a quattro mani con Loriano Macchiavelli e subito tradotto in tedesco e in francese.
Nel 1998, per celebrare i trent'anni di attività, la Emi pubblica raccolte di artisti della sua etichetta: in questo contesto vede la luce il doppio album Guccini live collection, che non è opera del cantautore, il quale precisa: «non ho seguito tutte le fasi di lavorazione, ho semplicemente dato il mio assenso alla Emi affinché lo pubblicasse. La prova che io non c'entro è data da quel terribile errore ortografico in copertina: nel titolo "Un'altro giorno è andato", "un altro" è scritto con l'apostrofo. Mi sono indignato assai. [...] Tutto, dalla grafica alla copertina alla scelta delle canzoni, è stato fatto con il mio assenso, ma senza di me» [p. 140].
Non pago del successo di Macaronì, sempre nel 1998 e sempre in collaborazione con Macchiavelli, pubblica Un disco dei Platters e dà inoltre alle stampe il suo atteso Dizionario del dialetto di Pàvana (Nuèter, Pavana).
Dopo I giorni cantati (1979) e Musica per vecchi animali (1989), Guccini torna a calcare le scene di Hollywood: convinto dall'amico Luciano Ligabue partecipa al film Radio Freccia, nella parte di «un barista scoglionato, burbero ma buono» [p. 147].
Il 2000 è l'anno del ritorno alla musica: esce Stagioni, che da Paolo Jachia, forse il più attento guccinologo in circolazione, è stato definito «una summa delle tematiche che accompagnano tutta la produzione artistica e intellettuale di Francesco: l'esistenzialismo, la polemica contro tutte le ingiustizie e i falsi ideali, il vivere giornaliero e lo scorrere inesorabile del tempo, la rabbia e l'indignazione per la propria impotenza a cambiare le cose e la vita, e poi l'amore, visto come specchio di se stessi, delle proprie belle illusioni e anche delle proprie fragilità, e ancora la fantasia e l'ironia e l'umorismo come baluardo contro l'inutile follia realista degli uomini integrati al potere, e poi la coerenza con la propria storia e le proprie radici, la coscienza dell'appartenere, in senso profondo, alla terra e al popolo, e il rifiuto della cultura piccolo borghese e l'adesione profonda al grande sogno anarchico, libertario, democratico, comunista (l'Utopia)» [P. Jachia: Francesco Guccini, Editori Riuniti, Roma 2002, p. 183].
Altre due fatiche letterarie a quattro mani con Loriano Macchiavelli (Questo sangue che impasta la terra e Lo spirito e altri briganti) ed una raccontando la Bologna di quarant'anni fa in Cittanòva Blues, precedono l'ultimo album in ordine cronologico di Francesco Guccini: Ritratti. Un album musicale, lirico e coinvolgente come pochi altri. Solo un anno più tardi la EMI sceglie di pubblicare il live Anfiteatro, in edizione CD e DVD, registrato nella splendida cornice dell'Anfiteatro di Cagliari. Sempre la EMI, per festeggiare i 40 anni d'attività discografica di Guccini, dopo Folk beat n.1 del 1966, fa uscire una corposa raccolta gucciniana: The Platinum Collection, 234 minuti di musica che è anche un pezzo di storia orale.
In molti, oggi, si chiedono quale sarà l'anno buono per il prossimo album inedito di Francesco, dimenticando che Pàvana impone i suoi ritmi, costanti, mai frenetici, sempre fertili. Di certo si sa che sono in divenire due libri (un romanzo con il solito Macchiavelli ed una raccolta di racconti ispirati da viaggi in terre lontane), oltre che le nuove canzoni dell'album (Ieri pomeriggio, Su in collina, Canzone di Notte n. 4).
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Se Fabrizio De André è stato un poeta della canzone.
Se Francesco De Gregori è un intellettuale con la chitarra.
Guccini è la sintesi di entrambi.
Guccini non ha di De André l'immediatezza, la folgorazione.
Non ha il ragionamento distaccato di De Gregori.
Ma ha tutto il resto.
Ironia, senso della storia, capacità di indignarsi, impegno politico vissuto con sospetto, curiosità verso il mondo.
Roberto Cotroneo, giornalista e scrittore
Sapeste quante scopate che ci ho dato sulla schiena
quando invece di studiare si metteva a suonare in camera sua con quelli
dell'Equipe 84?
Ester Prandi, la sua mamma
Se dovessi azzardare, in due parole, qual è il
denominatore comune dei testi di Guccini direi che è la gioia
dell'impegno, la gioia di combattere le ingiustizie, la gioia di non
essere come quell'Italia egoista e volgare vorrebbe che fossimo.
Vincenzo Cerami, giornalista e scrittore
Francesco io lo vedo come un albero, con delle radici solidissime, ben piantate in via Paolo Fabbri 43 o a Pàvana.
Red Ronnie, ex-bancario, ex-cantante, adesso presentatore tv
Di Guccini porto nella memoria le bottiglie. Un
tipo che come lui ha bevuto un Mar Caspio di vino dimostra che l'alcool
non è affatto contrario all'arte.
Stefano Benni, scrittore
La Locomotiva è una delle ballate più belle mai
scritte in Italia. C'è tutto il secolo in sintesi: il mito del
progresso, l'anarchia, i fantasmi e le urgenze di un'epoca pulsante.
Sergio Staino, disegnatore e creatore di Bobo
L'opera di Guccini mi orienta come una mappa piena
di luoghi da scoprire e inventare. L'avevo già intuito quando andai al
primo concerto a Mantova, ne ho avuto la conferma quando mi ha
accompagnato in Argentina: un sedentario come lui è riuscito a
schiudermi il coperchio del mondo.
Patrizio Roversi, comico-viaggiatore
Quella di Guccini è la voce di quello che un tempo si diceva il "movimento". Oggi, semplicemente una voce di gioventù.
E
cioè di granitica coerenza con il proprio linguaggio e pensiero. Nella
sua opera c'è un discorso interminabile: sull'ironia, sull'amicizia,
sulla solidarietà.
Dario Fo, premio Nobel per la letteratura
Nostalgie, amori, senso delle relazioni.
Il sentimento dello scorrere delle cose.
Tutto questo Francesco lo sa raccontare con una grazia speciale.
Sandra Petrignani, scrittrice
Se mi avessero dato venti lire ogni volta che ho
ascoltato "Incontro" mi ci sarei comprato un biglietto aereo da farci
il giro del mondo.
Conosco tutte le canzoni di Guccini a memoria.
Quando
sono andato cercarlo a Pàvana e mi si è dischiuso in tutta la sua
grandezza, è stato come essere davanti alla Madonna di Loreto.
Leonardo Pieraccioni, comico - attore - regista e anche un po' cantautore
Francesco Guccini diventò, per anni e anni, fino
all'università e anche oltre, la colonna sonora di quel mio passato
irrequieto e provinciale, conteso fra i treni rugginosi che mi
portavano verso Bologna e le highways californiane dei miei scrittori
preferiti, che mi portavano, con la fantasia, nel territorio del mito
americano.
Tramite Guccini studiai, per la prima volta seriamente, il greco.
Scoprii che Guccini era un poeta conviviale del ventesimo secolo, come lo erano Alceo e Orazio nei loro tempi.
Pier Vittorio Tondelli, scrittore
Guccini è uno che trent'anni fa, ancora studente,
magro, lungo e squattrinato, era un tormento quotidiano: flipperista
smodato, tutti i santi giorni che Dio manda in terra, era un continuo:
"Dai prestami cento lire che faccio una partitina, vedrai, batto il
record". Era una tassa giornaliera alla quale nessuno degli amici più
affezionati riusciva a sottrarsi, praticamente uno stipendio.
Guido De Maria, il testimone alle sue prime nozze
Guccini è forse il più colto dei cantautori in
circolazione: la sua è poesia dotta, intarsio di riferimenti. Guccini è
un cantore da vaste pianure.
Guccini è omerico, procede per agglomerazione, ha una gran sfacciataggine nell'osare una metafora dietro l'altra.
Umberto Eco, semiologo
E' il solo cantautore che si può ascoltare mentre
uno legge o studia, quindi il solo cantante italiano che si può
ascoltare con l'orecchio del cuore.
Roberto Roversi, poeta
Abbiamo delle nonne in comune io e Guccini. Fa piacere avere tra i parenti un tipo come lui.
Sembra
che non si sia mai allontanato da Pàvana, e racconta storie che hanno
come scenario quei paesaggi che hanno accompagnato anche la mia
infanzia: col cuore e le parole dei poeti.
Enzo Biagi, giornalista
De André era l'unico poeta della canzone d'autore.
Gli altri, me compreso, con l'eccezione forse di Guccini, sono bravi,
non poeti.
Roberto Vecchioni, cantautore e musicologo
Guccini è un contadino
becero dell'Appennino tosco-emiliano che sa raccontare come quei
contadini non si siano scrollati di dosso i costumi dei loro bisnonni.
Vari Extras Audio-Video
http://www.viafabbri43.net/extras.asp
Re: Correva l'anno 1940....
Domani, 9 Ottobre....avrebbe fatto 70 anni...anche lu' ....
Spulciate et preparate spunti-suoni-riflessioni o quel che ve pare su st'omino qua...
La musica leggera del 900 sarebbe stata la stessa senza l'omino? Pensatece voi a risponnere.....
Ultima modifica di Cantastorie il Sab 09 Ott 2010, 13:42 - modificato 1 volta.
Re: Correva l'anno 1940....
John Lennon avrebbe 70 anni
Io penso che l'esperienza Beatles senza la sua presenza - autoremusica - si sarebbe arenata sulla musica
easy dei primi album. Non ci sarebbero stati Sergent Peppers e White Album ...la volontà di sperimentare e allontanarsi dalla "strada ovvia-maestra" che portava fama e dindini senza grandi sforzi-difficoltà creativo-produttiva.
Quindi, per questo che chi è grato a quegli albums della seconda vita dei Beatles - quella dopo il boom planetario del 1965 - deve qualcosa di essenziale a Sir John.
Dopo lo sciogliemnto Beatles - 1970 - Sir John si ritaglio' altri ambiti musicali - non replay di cio' che aveva già fatto all'infinito.....e di questo, in tempi in cui le star campano 30 anni sulle stesse canzoni-idee musicali scritte 45 anni prima, bisognerebbe essergli riconoscenti..pensate quanto sarebbe stato facile "riarrangiare il repertorio beatles e ...portarlo in giro"...Sir John è andato avanti....non guardandosi indietro.
Dopo Beatles
http://www.ondarock.it/songwriter/johnlennon.htm44
il mercato ..
http://www.ilsole24ore.com/art/cultura/2010-09-30/settantanni-john-lennon-festa-145734.shtml?uuid=AYMipDVC#continue
fotogallery
http://foto.ilsole24ore.com/SoleOnLine5/Cultura/Musica/2010/lennon-john-beatles/lennon-john-beatles_fotogallery.php?id=6
Devo scegliere 3 canzoni?
E allora la prima è degli anni Beatles
e la seconda pure..
e poi questa cantata con Freddie Mercury
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