Grandi cantanti donne del 900 - NON italiane
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Grandi cantanti donne del 900 - NON italiane
Lo spunto per questo 3d che avevo già in mente da tempo m'è venuto da alcuni video youtube di Edith Piaf ...
e allora inizio con inserire un link con la sua breve biografia ..

http://www.ilportoritrovato.net/html/edithpiaf.html
Quando
si aprì il sipario dell'Olympia, sulle note
dell'orchestra, vedemmo avanzare una creaturina spaurita e
barcollante, di capelli grigi, sorretta dal suo nuovo grande
amore, il giovane parrucchiere greco Théo Sarapo, alto,
bello come un dio greco. Credo che la sala avvolta da un'aura
tragica, la voce di una Francia disperata, di una Parigi affamata
d'amore e dirle con la freddezza di pochi battiti di mano che
quell'uomo era un usurpatore, un signor nessuno, una sanguisuga
che suggeva avidamente il miele della gloria altrui. Ma il
sorriso di Edith, il passerotto (Piaf, in argot parigino) era lì
a dirci che lei se ne fregava di quel che si poteva pensare di
loro due insieme, perché lui le regalava il sogno di nuove
carezze, entrava nel suo letto, la faceva sentire amata, e tanto
bastava, ed eccola cantare che “alla faccia degli
uomini/disprezzando le loro leggi/mai niente e nessuno/m'impedirà
d'amare/ me lo sono conquistato questo diritto/ l'ho pagato
questo diritto...”.
Un passerotto con
l'artrite
La voce di Théo
sapeva un po' di quelle campane di coccio che si vendono alle
fiere di paese, e quando cantavano insieme A quoi ça
sert l'amour? Il disagio era palpabile. Ma c'era lei a
prenderci per mano, con la propria felicità che sprizzava
da quegli occhi pieni di sofferenza, da quel corpo piegato
dall'artrite che era davvero quello di un passerotto ferito e
soprattutto da quella voce cupa e drammatica che aveva mille
risonanze di gioia: “Ma tu sei l'ultimo( ma tu sei il primo/
prima di te non avevo niente / con te sto bene / sei tu che
volevo / sei tu che mi ci voleva / te che amerò sempre / a
questo serve l'amore...”.
Sangue livornese
Una nascita da
leggenda, prima di tutto, come le tante che fioriranno attorno a
lei. Scena prima: è il 19 dicembre del 1915, la prima
guerra mondiale insanguina l'Europa e una donna di nome Line
Marsa, d'origine livornese, si accascia sotto ad un lampione di
Parigi, urlando di dolore. Un poliziotto accorre, l'aiuta a
partorire e nasce Edith Giovanna Gassion, figlia di due artisti
girovaghi, lui contorsionista e acrobata in un circo, lei
cantante di fiere e mercati. Come potevano portarsela dietro in
quella vita d'accatto? E chi dei due, visto che vivevano
pressoché separati? La affidarono alla nonna materna che
gestiva un bordello a Bernay, in Normandia.
Fin dove è
leggenda? Oppure è verità? Se fosse verità,
ecco la prima traccia di un “io” dal percorso tremendo:
manca l'amore dei genitori e in quella casa di tolleranza l'amore
è solo merce a pagamento. Ce n'é abbastanza perché
più tardi la piccola Edith venga colpita da cecità,
come se non volesse vedere ciò che la circondava. Cecità
passeggera, fortunatamente.
Poi ecco ricomparire
il padre, che si ammala mentre gira la Francia con lei e lei che
si mette a cantare per la strada La Marsigliese per rimediare
moneta e dar da mangiare anche a lui. E' la scuola di canto e in
repertorio verrà poi anche il Ça ira della
rivoluzione, che lei canta con una rabbia da sanculotta e una
voce che sa di ruvida corda insaponata: “Ah ça ira ça
ira ça ira/ les aristocrates à la lanterne/ Ah ça
ira ça ira ça ira/ les aristocrates on lés
pendras!”.
Così
cambiò nome
A 18 anni è
già incinta di un muratore, Luis Dupont. La figlia che
nasce, Marcelle, morirà di meningite all'età di due
anni. Eccola dunque già in pieno calvario, la piccola
Edith. Che potrà ormai capitarle di peggio? E infatti il
futuro le riserva qualcosa di meglio: l'impresario Louis Leplée
che la porta al cabaret Gerny e le offre di cantare per qualche
sera. Ma un momento: questa ragazzina ha voce potente ma un corpo
da scricciolo, come diremmo noi, sicché Leplée le
affibbia il nome d'arte di Piaf, il passerotto, e via quel
Gassion che sa di poco.
A questo punto il
biografo direbbe che quel passerotto spicca il volo, che la Piaf
resta per mesi a Gerny, che intellettuali e cantanti, a
cominciare dal già famoso Chevalier, accorrono per
ascoltarla. Dice anche che Leplée muore e che nella vita
di Edith entrano Raymond Asso, Michel Emer (autore di molte delle
sue canzoni), Paul Merisse e tanti altri che – pare –
le sono anche maestri. Uomini che vanno e vengono e lei che ad
ognuno chiede sempre di più, lei che ha un incontenibile
bisogno d'amore. Come quando sul finire della seconda guerra
mondiale (lei intanto è già un nome e si esibisce
nei locali di grido ma anche nei campi di concentramento dove i
nazisti rinchiudono civili e militari), conosce Yves Montand e
con lui canta al Moulin Rouge. Ogni sera la sua voce diventa una
dichiarazione d'amore per il giovane ex scaricatore di porto di
Marsiglia d'origine italiana, che ci sta, ma per poco e vola via
appena diventa lui stesso un nome di cassetta.
Nel 1946 Edith Piaf
scrive la parole (la musica è di Louiguy) per una canzone
che diventa l'inno del ritorno alla vita di una Francia pugnalata
dall'Italia e invasa dai nazisti e ora liberata dagli alleati e
dai partigiani. E' La vie en rose, “due occhi che
fanno abbassare i miei/ un sorriso che si perde sulla sua bocca/
ecco il ritratto senza ritocchi/ dell'uomo al quale appartengo/
quando mi prende tra le braccia/ e mi parla sottovoce/ io vedo la
vita in rosa...”.
Non dice “io
sono mia”, ma “l'uomo al quale appartengo”, poiché
Edith vuole e ha bisogno di appartenere a qualcuno, da sentirsi
protetta, eletta, desiderata. La sua voce è ormai la
storia della Francia, ma a lei questo non basta. Quanti dischi
sta vendendo? Quanti soldi sta guadagnando? Nessuno lo sa, ma è
certo che nessuno l'ha vista con levrieri al guinzaglio scendere
impellicciata da una limousine. Edith continua ad essere un
passerotto che canta l'amore e che di amore ha bisogno più
del pane. Per le sue stanze e i suoi camerini passa gran parte
del futuro della canzone e del cinema francesi: Gilbert Bécaud,
Charles Aznavour, Charles Dumont (un altro che le scrive
bellissime canzoni), Leo Ferré, Eddie Constantine. Taluni
si fermano un po', altri fuggono lasciandole le loro canzoni.
Come George Moustaki, che due anni fa a Torino ci raccontava di
com'era difficile viverle accanto. Moustaki scriverà per
lei Milord, che in Italia segnerà l'affermazione
della giovane Milva.
Una canzone una
tappa di vita
Intanto scorrono le
canzoni: Les amants de Paris, Hymne à l'amour, Jezebel,
Padam Padam, La goualante du pauvre Jean, La foule, Mon menège
à moi, non, je ne regrette rien, La belle histoire
d'amour, Les flon-flons du bal, T'es l'homme qu'il me faut, Mon
Dieu...L'elenco è lungo, centinaia di successi,
ristampati in questi anni in grandi e costose raccolte. Ognuna di
queste canzoni segna una tappa della vita di Edith, che ha
trovato in Marguerite Monnot, musicista classica, una
straordinaria collaboratrice (con lei è nato quell'Inno
all'amore scritto dopo la morte del pugile marocchino Marcel
Cerdan, che stava volando verso di lei, che era a New York, su un
aereo che si schianta su una montagna delle Azzorre). Con la
Monnot nasce anche Milord (di Moustaki erano solo le
parole), per dirne solo due. Ma Edith era brava anche come
autrice di testi, che avevano il pregio della poesia della
strada, della lingua parlata. Come appunto nell'Inno
all'amore: “Io me ne fotto del mondo intero/ quando
l'amore inonda le mie mattine/ che m'importa dei problemi/ amore
mio, perché tu mi ami”. Edith era in albergo a New
York (l'accoglienza americana fu una prima volta freddina, poi
clamorosa) quando le televisione dette la notizia dell'incidente
aereo nel quale persa la vita Cerdan. Dovettero imbottirla di
calmanti. Lui era un pugile, non un cantante, e forse era
finalmente davvero l'uomo giusto, il Grande more, perché
Marcel dalla faccia di pietra era già famoso e non aveva
bisogno di lei per assicurarsi un posto nell'Olimpo delle
celebrità. Quella morte la rigettò all'inferno.
Porta il mio
corpo a Parigi
Siccome le sue
canzoni erano cantate da tutti, capitò anche che qualcuna
assumesse connotazioni politiche, come quando i reduci
dall'Algeria, e i parà, si appropriarono di Non, je ne
regrette rien per cantare, in polemica con De Gaulle, che ciò
che avevano fatto oltremare era tutto giusto. Un destino che
questa canzone non meritava e che va riportata ad una Piaf che
quando non precipita nel baratro delle droghe o delle malattie e
conosce lo sprazzo di sole di una nuova storia canta di non
rimpiangere “né il bene che le hanno fatto/ né
il male/ tutto questo per me è uguale/ ho pagato amato
dimenticato/ chi se ne frega del passato/ Con i miei ricordi/
accendo un fuoco/ le tristezze e i piaceri/ li metto via/ e
riparto da zero”.
Ripartì da
zero anche con Theophanis Lamboukas, in arte Théo Sarapo,
ed era il 1961. Il povero Théo era appena arrivato alla
platee che Edith si ammalò, facendosi promettere da lui
che se fosse morta l'avrebbe riportata a Parigi. Era l'11 ottobre
1963 e il ragazzo non fece una piega, caricò quel corpo
quasi senza peso sul sedile posteriore della macchina e raggiunse
la Capitale.
Una voce per
l'eternità
Edith Giovanna
Gassion fu sepolta a Père-Lachais, il cimitero delle
celebrità e dei Comunardi, com'era giusto, e quel giorno
c'erano centomila persone che la piangevano, Jean Cocteau aveva
scritto l'elogio funebre ma anche lui scomparve prima di poterlo
leggere. Parlava della Piaf come di una “bocca da oracolo”,
“di mani da lucertola tra i sassi”, di “una voce
per l'eternità che terrà testa ai secoli”. E
aveva ragione, se anche noi, dopo quarant'anni di fragori, non
siamo riusciti a dimenticare quella serata all'Olympia.
Leoncarlo Settimelli
– L'UNITA' – 12/10/2003
altra biografia online http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=375&biografia=Edith+Piaf
e allora inizio con inserire un link con la sua breve biografia ..

http://www.ilportoritrovato.net/html/edithpiaf.html
Quando
si aprì il sipario dell'Olympia, sulle note
dell'orchestra, vedemmo avanzare una creaturina spaurita e
barcollante, di capelli grigi, sorretta dal suo nuovo grande
amore, il giovane parrucchiere greco Théo Sarapo, alto,
bello come un dio greco. Credo che la sala avvolta da un'aura
tragica, la voce di una Francia disperata, di una Parigi affamata
d'amore e dirle con la freddezza di pochi battiti di mano che
quell'uomo era un usurpatore, un signor nessuno, una sanguisuga
che suggeva avidamente il miele della gloria altrui. Ma il
sorriso di Edith, il passerotto (Piaf, in argot parigino) era lì
a dirci che lei se ne fregava di quel che si poteva pensare di
loro due insieme, perché lui le regalava il sogno di nuove
carezze, entrava nel suo letto, la faceva sentire amata, e tanto
bastava, ed eccola cantare che “alla faccia degli
uomini/disprezzando le loro leggi/mai niente e nessuno/m'impedirà
d'amare/ me lo sono conquistato questo diritto/ l'ho pagato
questo diritto...”.
Un passerotto con
l'artrite
La voce di Théo
sapeva un po' di quelle campane di coccio che si vendono alle
fiere di paese, e quando cantavano insieme A quoi ça
sert l'amour? Il disagio era palpabile. Ma c'era lei a
prenderci per mano, con la propria felicità che sprizzava
da quegli occhi pieni di sofferenza, da quel corpo piegato
dall'artrite che era davvero quello di un passerotto ferito e
soprattutto da quella voce cupa e drammatica che aveva mille
risonanze di gioia: “Ma tu sei l'ultimo( ma tu sei il primo/
prima di te non avevo niente / con te sto bene / sei tu che
volevo / sei tu che mi ci voleva / te che amerò sempre / a
questo serve l'amore...”.
Sangue livornese
Una nascita da
leggenda, prima di tutto, come le tante che fioriranno attorno a
lei. Scena prima: è il 19 dicembre del 1915, la prima
guerra mondiale insanguina l'Europa e una donna di nome Line
Marsa, d'origine livornese, si accascia sotto ad un lampione di
Parigi, urlando di dolore. Un poliziotto accorre, l'aiuta a
partorire e nasce Edith Giovanna Gassion, figlia di due artisti
girovaghi, lui contorsionista e acrobata in un circo, lei
cantante di fiere e mercati. Come potevano portarsela dietro in
quella vita d'accatto? E chi dei due, visto che vivevano
pressoché separati? La affidarono alla nonna materna che
gestiva un bordello a Bernay, in Normandia.
Fin dove è
leggenda? Oppure è verità? Se fosse verità,
ecco la prima traccia di un “io” dal percorso tremendo:
manca l'amore dei genitori e in quella casa di tolleranza l'amore
è solo merce a pagamento. Ce n'é abbastanza perché
più tardi la piccola Edith venga colpita da cecità,
come se non volesse vedere ciò che la circondava. Cecità
passeggera, fortunatamente.
Poi ecco ricomparire
il padre, che si ammala mentre gira la Francia con lei e lei che
si mette a cantare per la strada La Marsigliese per rimediare
moneta e dar da mangiare anche a lui. E' la scuola di canto e in
repertorio verrà poi anche il Ça ira della
rivoluzione, che lei canta con una rabbia da sanculotta e una
voce che sa di ruvida corda insaponata: “Ah ça ira ça
ira ça ira/ les aristocrates à la lanterne/ Ah ça
ira ça ira ça ira/ les aristocrates on lés
pendras!”.
Così
cambiò nome
A 18 anni è
già incinta di un muratore, Luis Dupont. La figlia che
nasce, Marcelle, morirà di meningite all'età di due
anni. Eccola dunque già in pieno calvario, la piccola
Edith. Che potrà ormai capitarle di peggio? E infatti il
futuro le riserva qualcosa di meglio: l'impresario Louis Leplée
che la porta al cabaret Gerny e le offre di cantare per qualche
sera. Ma un momento: questa ragazzina ha voce potente ma un corpo
da scricciolo, come diremmo noi, sicché Leplée le
affibbia il nome d'arte di Piaf, il passerotto, e via quel
Gassion che sa di poco.
A questo punto il
biografo direbbe che quel passerotto spicca il volo, che la Piaf
resta per mesi a Gerny, che intellettuali e cantanti, a
cominciare dal già famoso Chevalier, accorrono per
ascoltarla. Dice anche che Leplée muore e che nella vita
di Edith entrano Raymond Asso, Michel Emer (autore di molte delle
sue canzoni), Paul Merisse e tanti altri che – pare –
le sono anche maestri. Uomini che vanno e vengono e lei che ad
ognuno chiede sempre di più, lei che ha un incontenibile
bisogno d'amore. Come quando sul finire della seconda guerra
mondiale (lei intanto è già un nome e si esibisce
nei locali di grido ma anche nei campi di concentramento dove i
nazisti rinchiudono civili e militari), conosce Yves Montand e
con lui canta al Moulin Rouge. Ogni sera la sua voce diventa una
dichiarazione d'amore per il giovane ex scaricatore di porto di
Marsiglia d'origine italiana, che ci sta, ma per poco e vola via
appena diventa lui stesso un nome di cassetta.
Nel 1946 Edith Piaf
scrive la parole (la musica è di Louiguy) per una canzone
che diventa l'inno del ritorno alla vita di una Francia pugnalata
dall'Italia e invasa dai nazisti e ora liberata dagli alleati e
dai partigiani. E' La vie en rose, “due occhi che
fanno abbassare i miei/ un sorriso che si perde sulla sua bocca/
ecco il ritratto senza ritocchi/ dell'uomo al quale appartengo/
quando mi prende tra le braccia/ e mi parla sottovoce/ io vedo la
vita in rosa...”.
Non dice “io
sono mia”, ma “l'uomo al quale appartengo”, poiché
Edith vuole e ha bisogno di appartenere a qualcuno, da sentirsi
protetta, eletta, desiderata. La sua voce è ormai la
storia della Francia, ma a lei questo non basta. Quanti dischi
sta vendendo? Quanti soldi sta guadagnando? Nessuno lo sa, ma è
certo che nessuno l'ha vista con levrieri al guinzaglio scendere
impellicciata da una limousine. Edith continua ad essere un
passerotto che canta l'amore e che di amore ha bisogno più
del pane. Per le sue stanze e i suoi camerini passa gran parte
del futuro della canzone e del cinema francesi: Gilbert Bécaud,
Charles Aznavour, Charles Dumont (un altro che le scrive
bellissime canzoni), Leo Ferré, Eddie Constantine. Taluni
si fermano un po', altri fuggono lasciandole le loro canzoni.
Come George Moustaki, che due anni fa a Torino ci raccontava di
com'era difficile viverle accanto. Moustaki scriverà per
lei Milord, che in Italia segnerà l'affermazione
della giovane Milva.
Una canzone una
tappa di vita
Intanto scorrono le
canzoni: Les amants de Paris, Hymne à l'amour, Jezebel,
Padam Padam, La goualante du pauvre Jean, La foule, Mon menège
à moi, non, je ne regrette rien, La belle histoire
d'amour, Les flon-flons du bal, T'es l'homme qu'il me faut, Mon
Dieu...L'elenco è lungo, centinaia di successi,
ristampati in questi anni in grandi e costose raccolte. Ognuna di
queste canzoni segna una tappa della vita di Edith, che ha
trovato in Marguerite Monnot, musicista classica, una
straordinaria collaboratrice (con lei è nato quell'Inno
all'amore scritto dopo la morte del pugile marocchino Marcel
Cerdan, che stava volando verso di lei, che era a New York, su un
aereo che si schianta su una montagna delle Azzorre). Con la
Monnot nasce anche Milord (di Moustaki erano solo le
parole), per dirne solo due. Ma Edith era brava anche come
autrice di testi, che avevano il pregio della poesia della
strada, della lingua parlata. Come appunto nell'Inno
all'amore: “Io me ne fotto del mondo intero/ quando
l'amore inonda le mie mattine/ che m'importa dei problemi/ amore
mio, perché tu mi ami”. Edith era in albergo a New
York (l'accoglienza americana fu una prima volta freddina, poi
clamorosa) quando le televisione dette la notizia dell'incidente
aereo nel quale persa la vita Cerdan. Dovettero imbottirla di
calmanti. Lui era un pugile, non un cantante, e forse era
finalmente davvero l'uomo giusto, il Grande more, perché
Marcel dalla faccia di pietra era già famoso e non aveva
bisogno di lei per assicurarsi un posto nell'Olimpo delle
celebrità. Quella morte la rigettò all'inferno.
Porta il mio
corpo a Parigi
Siccome le sue
canzoni erano cantate da tutti, capitò anche che qualcuna
assumesse connotazioni politiche, come quando i reduci
dall'Algeria, e i parà, si appropriarono di Non, je ne
regrette rien per cantare, in polemica con De Gaulle, che ciò
che avevano fatto oltremare era tutto giusto. Un destino che
questa canzone non meritava e che va riportata ad una Piaf che
quando non precipita nel baratro delle droghe o delle malattie e
conosce lo sprazzo di sole di una nuova storia canta di non
rimpiangere “né il bene che le hanno fatto/ né
il male/ tutto questo per me è uguale/ ho pagato amato
dimenticato/ chi se ne frega del passato/ Con i miei ricordi/
accendo un fuoco/ le tristezze e i piaceri/ li metto via/ e
riparto da zero”.
Ripartì da
zero anche con Theophanis Lamboukas, in arte Théo Sarapo,
ed era il 1961. Il povero Théo era appena arrivato alla
platee che Edith si ammalò, facendosi promettere da lui
che se fosse morta l'avrebbe riportata a Parigi. Era l'11 ottobre
1963 e il ragazzo non fece una piega, caricò quel corpo
quasi senza peso sul sedile posteriore della macchina e raggiunse
la Capitale.
Una voce per
l'eternità
Edith Giovanna
Gassion fu sepolta a Père-Lachais, il cimitero delle
celebrità e dei Comunardi, com'era giusto, e quel giorno
c'erano centomila persone che la piangevano, Jean Cocteau aveva
scritto l'elogio funebre ma anche lui scomparve prima di poterlo
leggere. Parlava della Piaf come di una “bocca da oracolo”,
“di mani da lucertola tra i sassi”, di “una voce
per l'eternità che terrà testa ai secoli”. E
aveva ragione, se anche noi, dopo quarant'anni di fragori, non
siamo riusciti a dimenticare quella serata all'Olympia.
Leoncarlo Settimelli
– L'UNITA' – 12/10/2003
altra biografia online http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=375&biografia=Edith+Piaf
- Spoiler:
Edith Piaf è stata la maggiore "chanteuse realiste" francese tra gli anni '30 e '60. Nata a Parigi il 19 dicembre 1915 il suo vero nome è Edith Gassion. Sceglierà il nome d'arte di Edith "Piaf" (che in argot parigino significa "passerotto") in occasione del suo debutto, nel 1935.
Di origini sfortunate vive la propria infanzia nella miseria dei quartieri Parisni di Belleville. Sua madre era una livornese, Line Marsa, cantante sposata al saltimbanco Louis Gassion. La leggenda vuole Lina l'avesse partorita per strada, aiutata da un flic, ossia un poliziotto francese.
Trascorre parte dell'infanzia nel bordello di Nonna Marie in Normandia. Poi ha un'audizione al "Gerny", locale con cabaret; importante è la protezione di Louis Leplé, suo primo impresario morto misteriosamente qualche anno dopo.
Il debutto avviene nel 1935, con un abito nero fatto a maglia, di cui non riesce a terminare le maniche, e coperta alle spalle con una stola per non emulare la grande Maryse Damia, incontrastata regina della canzone francese del momento. La sua scalata al successo avrà inizio a partire dal 1937, quando ottiene un contratto con il Teatro dell'ABC.
Con la sua voce variegata e caleidoscopica, capace di mille sfumature, la Piaf anticipa di oltre un decennio quel senso di ribellione e di inquietudine che incarneranno poi gli artisti intellettuali della "rive gauche", di cui faranno parte Juliette Greco, Camus, Queneau, Boris Vian, Vadim.
Quello che colpiva chi la sentiva cantare è che nelle sue interpretazioni sapesse usare di volta in volta toni aggressivi e acidi, sapendo magari passare subitaneamente a inflessioni dolci e venate di tenerezza, senza dimenticare quel certo spirito gioioso che solo lei era in grado di evocare.
Ormai lanciata nell'empireo delle grandi a cui si deve particolare attenzione, attraverso il suo secondo impresario, il temibile Raymond Asso, conosce il poliedrico genio di Cocteau che a lei si ispirerà per la pièce teatrale "La bella indifferente".
Re: Grandi cantanti donne del 900 - NON italiane
Pensavo che fosse un sondaggio di Giops



miniatina- Utente... preoccupante >10.000 Post
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Data d'iscrizione : 29.12.09
Re: Grandi cantanti donne del 900 - NON italiane
no Miniatina eheheheh ...
E' un'idea di riunire biografie e ascolti-video di cantanti straniere del novecento ...
da Miriam Makeba a Patty Smith ....da Ella a Barbra Streisand ....da Lisa Minnelli a Tina Turner...e a chivvepare ..basta che non sia italiana
E' un'idea di riunire biografie e ascolti-video di cantanti straniere del novecento ...
da Miriam Makeba a Patty Smith ....da Ella a Barbra Streisand ....da Lisa Minnelli a Tina Turner...e a chivvepare ..basta che non sia italiana

echo- Admin Echo86
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Re: Grandi cantanti donne del 900 - NON italiane
ecco, qualcuno mi spieghi janis joplin perchè la sua voce mi è semrpe sembrata tutto tranne che straordinaria.
maimeri- Utente Fattiscente: 5001-9999 Post
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Re: Grandi cantanti donne del 900 - NON italiane
X Maimeri:
puoi cominciare a farti un'idea leggendone la biografia ..
http://www.ondarock.it/rockedintorni/janisjoplin.htm
Il mondo del rock era ancora sotto shock per la morte di Jimi Hendrix, quel 4 ottobre del 1970, quando arrivò la notizia che al Landmark Motor Hotel di Hollywood, California, era stato trovato il corpo senza vita di Janis Joplin. Quindici giorni dopo la scomparsa del grande chitarrista, si spegneva anche la voce femminile più "blues" della storia del rock. Il referto del dottor Noguchi, capo coroner della contea di Los Angeles, non lasciò spazio a dubbi: la cantante americana era morta il giorno prima, stroncata da un'overdose di eroina. Il suo corpo fu cremato e le sue ceneri disperse nell'Oceano, lungo la costa di Maryn County, in faccia all'Oceano.
Finiva così, a soli 27 anni, l'esistenza inquieta di Janis Joplin. Una vita vissuta pericolosamente, tra droghe e alcol, da quando, appena ventenne, era fuggita dalla sua "prigione natale", come chiamava Porth Arthur (Texas), la città dove era nata il 19 gennaio 1943. Il padre lavorava in una fabbrica di lattine, la madre era impiegata in un college. Sovrappeso e con la pelle rovinata dall'acne, Janis era una ragazzina piena di complessi, che cercava rifugio nella musica. Così, a 17 anni, mollò il college e fuggì di casa. Per seguire le orme delle sue stelle musicali preferite: Odetta, Leadbelly e Bessie Smith.
Cominciò esibendosi nei club country&western di Houston e di altre città del Texas. Appena ebbe abbastanza denaro, prese un bus per la California. Era l'era hippy, e Janis entrò a far parte di diverse comuni, stabilendosi a San Francisco per alcuni anni. Per un caso, tornò in Texas all'inizio del 1966, poco prima che un suo amico, Chet Helms, diventasse il manager di un nuovo gruppo rock, "Big Brother and the Holding Company".
La band aveva bisogno di una vocalist femminile e Helm pensò a Janis. La contattò e la convinse a tornare a San Francisco. La fusione tra la voce abrasiva di Joplin e il ruvido acid-blues della band si rivelò un successo. Il gruppo divenne subito popolare in tutta l'area di San Francisco e fu chiamato a partecipare al rock festival di Monterey nel 1967. Una performance trionfale, bissata due anni dopo da Janis Joplin, questa volta come solista, a Woodstock.
Arrivò così il loro album d'esordio, intitolato semplicemente con il loro nome, Big Brother and the Holding Company. Seguì una serie di concerti in tutti gli Stati Uniti. L'esibizione di Janis Joplin a New York, in particolare, entusiasmò la critica. Il successo la convinse così a lasciare la band, per intraprendere la carriera solista, nel 1968, subito dopo la pubblicazione del secondo album, Cheap Thrills, impreziosito da una cover "acida" di "Summertime" di George Gershwin, resa memorabile dall'interpretazione straziante di Joplin.
Nel frattempo, la cantante texana era diventata uno dei simboli del rock al femminile, e, a dispetto di un fisico non proprio da top-model, perfino un sex-symbol. La sua sensualità selvaggia la rendeva infatti l'alter ego femminile di ciò che erano, in quegli anni, Jim Morrison o Mick Jagger. Lo confermava un articolo apparso su "The Village Voice": "Pur non essendo bella secondo il senso comune, si può affermare che Janis è un sex symbol in una brutta confezione".
Il gruppo di musicisti con cui Janis intraprese la carriera di solista si chiamava "Kozmic Blues Band". Con questa band realizzò il suo primo album per la Columbia: I Got Dem Ol' Kozmic Blues Again Mama. La sua vita era a una svolta. Stanca di storie sentimentali senza futuro, aveva trovato un uomo che finalmente amava. E dopo le critiche alle sue ultime performance, sembrava aver deciso di dare un taglio agli eccessi di un'esistenza inebriante ma illusoria. All'inizio del 1970, così, formò un nuovo gruppo, la "Full-Tilt Boogie Band", con cui diede vita a un album-prodigio come Pearl (il soprannome con cui la chiamavano gli amici). Oltre a una versione di "Me and Bobby McGee" di Kris Kristofferson, il disco includeva hit come la trascinante "Get it while you can", la struggente "Cry baby" e l'umoristica "Mercedes Benz", composta da lei stessa.
Ma prima che l'album fosse pubblicato, arrivò la tragica notte di Hollywood. Forse quel "buco" doveva essere l'ultimo. Forse anche con l'eroina aveva deciso di farla finita. Ma quella notte spense per sempre la sua voce. Una voce appassionata e straziante, che era insieme ruggine e miele, furore e tenerezza, malinconia blues e fuoco psichedelico. Un canto unico e inimitabile in tutta la storia del rock. "Era una musa inquietante - scrive il critico rock Riccardo Bertoncelli - una strega capace di incantare il pubblico, la sacerdotessa di un rock estremo senza distinzione tra fantasia scenica e realtà". Uno stile che diventerà un riferimento preciso per intere generazioni di vocalist, da Patti Smith a PJ Harvey, da Annie Lennox degli Eurythmics a Skin degli Skunk Anansie.
Janis Joplin, alla cui vita sarà dedicato l'imminente film "Piece of my heart", con Brittany Murphy, ha vinto tre dischi d'oro: il primo con la "Big Brother and the Holding Company" per l'album "Cheap Thrills", il secondo come solista per "I Got Dem Ol' Kozmic Blues Again Mama" e il terzo, postumo, con "Pearl". Grazie al pezzo di Kris Kristofferson, "Me and Bobby McGee" riuscì anche, dopo la morte, a scalare quella classifica dei singoli, nella quale in vita non era mai riuscita ad entrare. La critica, oggi, la considera all'unanimità una delle migliori interpreti bianche di blues di tutti i tempi. Alcune settimane prima di morire, aveva acquistato la lapide della tomba di Bessie Smith, la sua grande musa ispiratrice. E il destino ha voluto che anche il suo ultimo brano si rivelasse una macabra profezia: "Buried alive in the blues", sepolta viva nel blues.
--------------
in due parole, è una capo-stipite di un genere - il rock misto al blues al femminile diciamo - ...visto che prima di lei nessuno cantava in quel modo ..mentre dopo....lassamo perdere:):)
puoi cominciare a farti un'idea leggendone la biografia ..
http://www.ondarock.it/rockedintorni/janisjoplin.htm
Il mondo del rock era ancora sotto shock per la morte di Jimi Hendrix, quel 4 ottobre del 1970, quando arrivò la notizia che al Landmark Motor Hotel di Hollywood, California, era stato trovato il corpo senza vita di Janis Joplin. Quindici giorni dopo la scomparsa del grande chitarrista, si spegneva anche la voce femminile più "blues" della storia del rock. Il referto del dottor Noguchi, capo coroner della contea di Los Angeles, non lasciò spazio a dubbi: la cantante americana era morta il giorno prima, stroncata da un'overdose di eroina. Il suo corpo fu cremato e le sue ceneri disperse nell'Oceano, lungo la costa di Maryn County, in faccia all'Oceano.
Finiva così, a soli 27 anni, l'esistenza inquieta di Janis Joplin. Una vita vissuta pericolosamente, tra droghe e alcol, da quando, appena ventenne, era fuggita dalla sua "prigione natale", come chiamava Porth Arthur (Texas), la città dove era nata il 19 gennaio 1943. Il padre lavorava in una fabbrica di lattine, la madre era impiegata in un college. Sovrappeso e con la pelle rovinata dall'acne, Janis era una ragazzina piena di complessi, che cercava rifugio nella musica. Così, a 17 anni, mollò il college e fuggì di casa. Per seguire le orme delle sue stelle musicali preferite: Odetta, Leadbelly e Bessie Smith.
Cominciò esibendosi nei club country&western di Houston e di altre città del Texas. Appena ebbe abbastanza denaro, prese un bus per la California. Era l'era hippy, e Janis entrò a far parte di diverse comuni, stabilendosi a San Francisco per alcuni anni. Per un caso, tornò in Texas all'inizio del 1966, poco prima che un suo amico, Chet Helms, diventasse il manager di un nuovo gruppo rock, "Big Brother and the Holding Company".
La band aveva bisogno di una vocalist femminile e Helm pensò a Janis. La contattò e la convinse a tornare a San Francisco. La fusione tra la voce abrasiva di Joplin e il ruvido acid-blues della band si rivelò un successo. Il gruppo divenne subito popolare in tutta l'area di San Francisco e fu chiamato a partecipare al rock festival di Monterey nel 1967. Una performance trionfale, bissata due anni dopo da Janis Joplin, questa volta come solista, a Woodstock.
Arrivò così il loro album d'esordio, intitolato semplicemente con il loro nome, Big Brother and the Holding Company. Seguì una serie di concerti in tutti gli Stati Uniti. L'esibizione di Janis Joplin a New York, in particolare, entusiasmò la critica. Il successo la convinse così a lasciare la band, per intraprendere la carriera solista, nel 1968, subito dopo la pubblicazione del secondo album, Cheap Thrills, impreziosito da una cover "acida" di "Summertime" di George Gershwin, resa memorabile dall'interpretazione straziante di Joplin.
Nel frattempo, la cantante texana era diventata uno dei simboli del rock al femminile, e, a dispetto di un fisico non proprio da top-model, perfino un sex-symbol. La sua sensualità selvaggia la rendeva infatti l'alter ego femminile di ciò che erano, in quegli anni, Jim Morrison o Mick Jagger. Lo confermava un articolo apparso su "The Village Voice": "Pur non essendo bella secondo il senso comune, si può affermare che Janis è un sex symbol in una brutta confezione".
Il gruppo di musicisti con cui Janis intraprese la carriera di solista si chiamava "Kozmic Blues Band". Con questa band realizzò il suo primo album per la Columbia: I Got Dem Ol' Kozmic Blues Again Mama. La sua vita era a una svolta. Stanca di storie sentimentali senza futuro, aveva trovato un uomo che finalmente amava. E dopo le critiche alle sue ultime performance, sembrava aver deciso di dare un taglio agli eccessi di un'esistenza inebriante ma illusoria. All'inizio del 1970, così, formò un nuovo gruppo, la "Full-Tilt Boogie Band", con cui diede vita a un album-prodigio come Pearl (il soprannome con cui la chiamavano gli amici). Oltre a una versione di "Me and Bobby McGee" di Kris Kristofferson, il disco includeva hit come la trascinante "Get it while you can", la struggente "Cry baby" e l'umoristica "Mercedes Benz", composta da lei stessa.
Ma prima che l'album fosse pubblicato, arrivò la tragica notte di Hollywood. Forse quel "buco" doveva essere l'ultimo. Forse anche con l'eroina aveva deciso di farla finita. Ma quella notte spense per sempre la sua voce. Una voce appassionata e straziante, che era insieme ruggine e miele, furore e tenerezza, malinconia blues e fuoco psichedelico. Un canto unico e inimitabile in tutta la storia del rock. "Era una musa inquietante - scrive il critico rock Riccardo Bertoncelli - una strega capace di incantare il pubblico, la sacerdotessa di un rock estremo senza distinzione tra fantasia scenica e realtà". Uno stile che diventerà un riferimento preciso per intere generazioni di vocalist, da Patti Smith a PJ Harvey, da Annie Lennox degli Eurythmics a Skin degli Skunk Anansie.
Janis Joplin, alla cui vita sarà dedicato l'imminente film "Piece of my heart", con Brittany Murphy, ha vinto tre dischi d'oro: il primo con la "Big Brother and the Holding Company" per l'album "Cheap Thrills", il secondo come solista per "I Got Dem Ol' Kozmic Blues Again Mama" e il terzo, postumo, con "Pearl". Grazie al pezzo di Kris Kristofferson, "Me and Bobby McGee" riuscì anche, dopo la morte, a scalare quella classifica dei singoli, nella quale in vita non era mai riuscita ad entrare. La critica, oggi, la considera all'unanimità una delle migliori interpreti bianche di blues di tutti i tempi. Alcune settimane prima di morire, aveva acquistato la lapide della tomba di Bessie Smith, la sua grande musa ispiratrice. E il destino ha voluto che anche il suo ultimo brano si rivelasse una macabra profezia: "Buried alive in the blues", sepolta viva nel blues.
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in due parole, è una capo-stipite di un genere - il rock misto al blues al femminile diciamo - ...visto che prima di lei nessuno cantava in quel modo ..mentre dopo....lassamo perdere:):)
Re: Grandi cantanti donne del 900 - NON italiane

echo- Admin Echo86
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Re: Grandi cantanti donne del 900 - NON italiane
Una voce femminile mi ha sconvolto e in un certo senso ha cambiato molte delle prospettive e idee della mia vita, era un astro nascente e ne ho seguito tutti i passi a distanza fino all'apoteosi del concerto allo stadio di Firenze, evento per me epocale che segnò definitivamente il passaggio all'età adulta. Magari non è la voce femminile piu' straordinaria, ma per 4 anni ho vissuto della sua poesia e della sua musica. Indelebile, incendiaria, stridente e totalmente out, con una sessualità androgina intrigante che non ricorreva a trucco e parrucco ma ti coinvolgeva totalmente. Per anni ho raccolto foto, interviste ritagli e quant'altro. in attesa di poterla vedere dal vivo ho centellinato il suo primo bootleg Teenage Perversity and Ships In The Night assaporandone tutti gli umori al buio della mia cameretta con lo stereo al massimo, ho letto i suoi poemi mescolandoli a Tarantula di Bob Dylan e immaginavo paralleli con Jim Morrison. John Cale, che in quel periodo oltre a sfornare album bellissimi e profondi per conto suo aveva appena finito di lavorare con Nico a The End, le produsse un album dal suono non eccelso ma che era riuscito a raccogliere le esperienze sul palco del CBGB's a metà stada fra happening, lettura di testi poetici e rock seminale, asciutto, dalle chitarre rock essenziali e strazianti e dalle ritmiche trascinanti memori di certi Rolling Stones.
Quando misi sul piatto il primo disco, foto di copertina in bianco e nero firmata Robert Mapplethorpe e sentii la prima frase recitata in apertura capii immediatamente la grandezza di questa donna che avrebbe prodotto solo 4 album prima di ritirarsi per piu' di 10 anni.
La frase d'apertura era:
Jesus Died For Somebody's Sins But Not Mine
la cantante è:
Patti Smith
Quando misi sul piatto il primo disco, foto di copertina in bianco e nero firmata Robert Mapplethorpe e sentii la prima frase recitata in apertura capii immediatamente la grandezza di questa donna che avrebbe prodotto solo 4 album prima di ritirarsi per piu' di 10 anni.
La frase d'apertura era:
Jesus Died For Somebody's Sins But Not Mine
la cantante è:
Patti Smith
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Re: Grandi cantanti donne del 900 - NON italiane
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Re: Grandi cantanti donne del 900 - NON italiane
Miriam Makeba - mamma Africa
in spoiler la biografia
http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=806&biografia=Miriam+Makeba

Qui con Paul Simon...
in spoiler la biografia
http://biografieonline.it/biografia.htm?BioID=806&biografia=Miriam+Makeba
- Spoiler:
- Se esiste un'artista che ha dato tutto per la lotta alla discriminazione razziale e per la piena democrazia nel suo paese questa è proprio Miriam Makeba, grande cantante sudafricana che per decenni ha inondato il mondo dei suoi canti di gioia e dolore, ispirati dalla condizione della popolazione nera in Sudafrica.
Voce calda, melodiosa e sincera, Miriam nasce il 4 marzo 1932 in un sobborgo di Johannesburg, ai tempi in cui l'apartheid era una realtà senza scelte. Figlia di una sacerdotessa del culto locale fin da bambina sperimenta sulla sua pelle tutte le sopraffazioni legati all'infame regime dell'apartheid. La sua vita subisce una svolta nel segno di un desiderio di speranza e libertà quando nei primi anni '50 incontra Nelson Mandela che all'epoca stava organizzando l'"African National Congress".
Fra i due nasce un'amicizia di ferro che porterà Miriam ad appoggiare sempre le iniziative del carismatico Mandela.
Il suo modo di comunicare è quello dell'arte e del canto e sono questi i campi d'elezione della sua attività di protesta: canzoni e melodie che hanno portato sulle ali della musica il dolore e la condizione degli oppressi ovunque nel mondo.
Miriam Makeba appartiene alla comunità Xhosa del Sudafrica e, molto legata alle radici del suo popolo, ha iniziato la sua carriera con un repertorio diviso tra il "Kwela Africano" e il "Doowop", lo stile vocale tra Rock'n'roll e Rhythm and Blues degli anni '50. Per rendere la sua musica ancora più speziata di sapori etnici la cantante ha aggiunto al suo genere una forte componente legata al "Griot", che rappresenta la grande tradizione trobadorica africana.
E' poi diventata una star con i "Manhattan Brothers", gruppo con il quale ha raggiunto una fama considerevole anche fuori dei confini del suo Paese.
Ma la malvagità dell'uomo non ha mai fine e riserva sempre sgradevoli sorprese: per Miriam questo si è tradotto con l'esilio imposto dal governo di Pretoria dopo il suo primo tour negli Stati Uniti del '60. Non potevano tollerare che fosse diventata il simbolo di un popolo oppresso.
Resterà lontana dal suo paese per ben trent'anni, una sofferenza enorme per una persona così legata alla propria terra come Miriam.
In America fortunatamente ha trova in Harry Belafonte un amico prezioso che l'aiuta a diventare una stella (vincendo addirittura un Grammy, cosa mai successa ad un artista africano).
Purtroppo anche in America Miriam incontra serie difficoltà. Nel 1968 sposa Stokely Carmichael, un leader dei movimenti radicali Neri; anche se non ci sono reazioni ufficiali, il suo soggiorno negli States diventa molto difficile. Progetti di dischi e concerti vengono cancellati.
Decide allora di tornare in Africa e trova nella Guinea una seconda patria che l'accoglie a braccia aperte. Come delegato di quello Stato prende parte anche a diverse missioni diplomatiche alle Nazioni Unite, dove più volte parla contro la barbarie dell'apartheid.
Miriam Makeba grazie al suo impegno civile ha ricevuto premi dall'Unesco e da altre importanti organizzazioni. E' stata ricevuta dai maggiori leader del mondo, da John Kennedy a Fidel Castro, da Francois Mitterrand all'Imperatore dell'Etiopia Haile'Selassie.
Come artista ha lavorato con personaggi del calibro di Paul Simon, Dizzy Gillespie, Hugh Masekela e Nina Simone.
Nel 1990, ad esilio estinto, torna nel suo paese. In Sud Africa riprende a cantare e a impegnarsi in progetti umanitari fra i quali alcuni di tutela delle donne nere. Tanta passione e tanta pervicacia sono state poi ripagate con grandi risultati, tradotti nella fine del regime bianco in Sudafrica e l'inizio di un processo democratico.
La vita di "Mama Afrika" - così veniva chiamata - spesa senza un attimo di respiro, è stata caratterizzata da una grande tempra di combattente e da molte sfortune, da un cancro e da un incidente aereo. Ma questa straordinaria "African lady", autentica leggenda, è sempre riuscita a dispensare vere emozioni con la sua grande musica.
Muore in Italia, a Castel Volturno, a causa di un attacco cardiaco nella notte tra il 9 e il 10 novembre 2008; aveva appena terminato la sua ultima esibizione, partecipando a un concerto anticamorra dedicato allo scrittore italiano Roberto Saviano.

Qui con Paul Simon...
Re: Grandi cantanti donne del 900 - NON italiane
<table id="ritrattotopleft" border="0" cellpadding="0" cellspacing="0"><tr><td> </td></tr></table> | <table id="ritrattotop" width="100%" border="0" cellpadding="0" cellspacing="0"><tr><td> </td></tr></table> | <table id="ritrattotopright" border="0" cellpadding="0" cellspacing="0"><tr><td> </td></tr></table> |
<table id="ritrattoleft" class="ritrattoleft" border="0" cellpadding="0" cellspacing="0"><tr><td> </td></tr></table> | <table id="ritrattoright" class="ritrattoright" border="0" cellpadding="0" cellspacing="0"><tr><td> </td></tr></table> | |
<table id="ritrattobottomleft" border="0" cellpadding="0" cellspacing="0"><tr><td> </td></tr></table> | <table id="ritrattobottom" width="100%" border="0" cellpadding="0" cellspacing="0"><tr><td> </td></tr></table> | <table id="ritrattobottomright" border="0" cellpadding="0" cellspacing="0"><tr><td> </td></tr></table> |
Il padre, Clarence Holiday, abbandona la famiglia molto presto
mentre la madre non è certamente una persona, e tantomeno una madre,
convenzionale. A causa di questo desolante quadro familiare, quindi,
Billie cresce sostanzialmente sola e con notevoli problemi
caratteriali.
Una delle tante leggende e dicerie che circolano sul suo conto
(questa però, purtroppo, con solidi e non peregrini elementi di
verità), le attribuiscono addirittura un passato di prostituzione,
esercitata in giovanissima età per guadagnarsi da vivere e sollevarsi
dal regime di miseria in cui versava la sua famiglia.
La sua vita ha una svolta quando, trasferitasi a New York, viene
scoperta da John Hammond, un artista che cantava in un Club di Harlem e
che disponeva di notevoli agganci e conoscenze. Nel 1933 Hammond
arrangia per lei, con Benny Goodman (ossia uno dei massimi
clarinettisti, sia classici che jazz, della storia), un paio di pezzi
che segnano l'inizio della sua carriera. Nello stesso anno apparve nel
film di Duke Ellington "Symphony in black".
In seguito entra a far parte di una delle orchestre più in voga del
momento, quella di Count Basie e incide una canzone con l'orchestra di
Artie Shaw. Ormai nel "giro", sembra che la sua carriera stia per
decollare, tant'è che le collaborazioni e le richieste di incisioni si
susseguono. Ad esempio, sul fronte delle produzioni più importanti,
sono da segnalare diversi dischi con il pianista Teddy Wilson e il
sassofonista Lester Young, altri nomi storici del jazz. Quest'ultimo le
attribuirà il celebre soprannome di "Lady Day" e, nel 1939, diventa la
stella del Cafe Society.
Sull'onda del successo, ormai riconosciuta come una delle voci più
intense della musica, incide la splendida "Strange Fruit", un
capolavoro di interpretazione e un inno contro il razzismo di cui lei
stessa in fondo è vittima. Il brano, per reazione di alcuni ambienti
conservatori, viene vietato in diversi paesi.
Negli anni Quaranta e Cinquanta Billie Holiday si esibisce, con
grande successo, in locali di tutti gli Stati Uniti e nel 1946 recita
nel film "New Orleans" con Louis Armstrong,
ma sfortunatamente è proprio in questo periodo che comincia a fare uso
di eroina. Lo sregolato e dissoluto regime di vita a cui si sottopone
interferisce pesantemente con la sua carriera rovinandole fra l'altro
la preziosa voce.
A questo riguardo Tony Scott, un suo musicista collaboratore, ha
detto di lei: "... Billie Holiday è stata e sempre sarà un simbolo
della solitudine: una vittima dell'american way of life come donna,
come nera e come cantante jazz. Per la società bianca tutto questo
voleva dire essere l'ultima ruota del carro. Questo insieme di shock e
traumi la spinse a cercare un qualcosa che l'aiutasse ad annebbiare il
dolore spirituale e mentale. Appena si presentò l'opportunità, cominciò
subito a far uso di stupefacenti.
Nel 1956 scrive "La Signora canta il blues", la sua autobiografia, da cui fu tratto un film con Diana Ross nel 1973.
Nel 1959 dopo la sua ultima incisione, subisce un attacco di
epatite e viene ricoverata in ospedale a New York. Anche il suo cuore
ne risente. Muore il 17 luglio, all'età di 44 anni, con la polizia
attorno al suo letto. Il suo grande amico, Lester Young, era morto il
15 marzo dello stesso anno.
Sempre dalle parole di Tony Scott, riportiamo una toccante immagine
della cantante: "[...] Solo due donne nella mia vita non mi hanno mai
offeso: mia madre e Billie Holiday. Tutti ascoltano i dischi di Billie,
tutti conoscono il suo nome. rappresenta la "vittima". La sua voce
tocca chiunque, anche chi non capisce le parole, perché il suo canto
nasce direttamente dall'anima. L'anima di un essere umano molto
profondo, che capisce la tristezza, la felicità, la solitudine, il
successo e che fu sempre destinata ad avere un no good man a fianco, un
buono a nulla".
Ultima modifica di rossadavino il Mer 19 Mag 2010, 22:25 - modificato 3 volte.
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Re: Grandi cantanti donne del 900 - NON italiane
direi assolutamente Nina Simone
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Re: Grandi cantanti donne del 900 - NON italiane
Amalia Rodrigues - Il fado
in spoiler la biografia da wikipedia..l'unico sito completo che ho trovato adesso è in portoghese, linko ugualmente però
http://www.amaliarodrigues.lisbon52.com/
in spoiler la biografia da wikipedia..l'unico sito completo che ho trovato adesso è in portoghese, linko ugualmente però
http://www.amaliarodrigues.lisbon52.com/
- Spoiler:
Nacque in una famiglia numerosa di poveri immigrati dalla regione della Beira Baixa nel quartiere operaio di Alcantara, in un imprecisato giorno del 1920, nella "stagione delle ciliegie". Il suo stato civile infatti riporta come data di nascita il 23 luglio, ma la cantante ha sempre festeggiato il proprio compleanno il 1º luglio
Fu allevata dai nonni materni e frequentò solo tre anni di scuola
elementare, iniziando presto a lavorare come venditrice di arance, poi
in una pasticceria di Lisbona. Intanto cantava da sola, sognando
malinconicamente le storie che riusciva a vedere al cinema e
modificando e rielaborando testi e musiche secondo la propria
sensibilità. Poco a poco si fa notare per la sua voce in piccole
manifestazioni locali alle quali prende parte facendosi chiamare col
cognome della madre: Rebordão. A diciannove anni, con la complicità di
una zia, riesce a farsi ascoltare dal proprietario di un famoso locale
di Lisbona e comincia una straordinaria carriera che la porta quasi
subito a livelli altissimi di notorietà e di cachet. Sposa
immediatamente, contro il parere dei familiari, Francisco Cruz, un
operaio che si dilettava con la chitarra e dal quale si separerà dopo
tre anni (si risposerà, quindici anni dopo e per tutta la vita, con
l'ingegnere brasiliano César Séabra che la precederà nella tomba di
qualche anno) e diventa subito famosa come "Amália Rodrigues, a Alma do
Fado". Entro un anno è già pagata venti volte di più che i maggiori
artisti del momento ed è una vedette del teatro di rivista e perfino
del cinema, ma per i primi sei anni della sua carriera non incide
neppure un disco, per l'opposizione del suo agente che lo ritiene
controproducente
Pur avendo inciso i suoi primi dischi a 78 giri solo nel 1945, gode già di una certa notorietà anche all'estero (Spagna, Italia, Brasile, Stati Uniti) quando il film Les amants du Tage, di Henri Verneuil, le apre le porte del mitico teatro Olympia di Parigi,
dove ottiene un trionfo che la consacra diva internazionale di prima
grandezza. La sua popolarità in tutto il mondo è già immensa quando,
nel 1960, si risposa e pensa di lasciare le scene. Dopo due anni,
tuttavia, è già di ritorno con un repertorio nuovo, creato su misura
dal geniale musicista franco-portoghese Alain Oulman che mette in
musica per lei i testi dei migliori poeti portoghesi. Questa nuova fase
della sua carriera la impone anche all'attenzione della critica e la
consacra fra le grandi artiste di tutti i tempi. Al suo repertorio
originario, composto quasi unicamente di Fado, aggiunge ben presto le canzoni popolari e folcloristiche, scatenando in tutta Europa il revival di questo genere.
La sua carriera durerà più di cinquanta anni, con centinaia di
concerti in tutto il mondo ed almeno 170 LP pubblicati. Il pubblico
internazionale è soggiogato dal fascino della sua voce e
dall'espressività delle sue interpretazioni al punto da non aver
neppure bisogno di capire la lingua portoghese per captarne il
messaggio emotivo. Innumerevoli sono le persone che si accostano, per
interesse verso di lei, alla lingua ed alla cultura portoghesi.
Alla metà degli anni settanta, la "Rivoluzione dei garofani" la prende a bersaglio e la discrimina duramente per esser stata, pur senza sua colpa, un simbolo del Portogallo di Salazar.
Amália, praticamente esiliata, intensifica le tournée all'estero fino
al momento in cui scopre di essere affetta da un tumore. Pur
riabilitata - dopo dieci anni - dal nuovo governo socialista, dovrà
rassegnarsi a lasciare il palcoscenico e vivrà i suoi ultimi anni in
ritiro nella sua celebre casa di Rua S. Bento, a Lisbona, dove morirà
la mattina del 6 ottobre 1999.
Alla sua morte vengono proclamati tre giorni di lutto nazionale e i
suoi funerali vedono la commossa partecipazione di decine di migliaia
di persone. Attualmente riposa fra i grandi portoghesi di tutti i tempi
nel Pantheon di Lisbona, ma lei avrebbe certamente preferito essere
tumulata fra le rose del Monastero dos Jerónimos, che tanto amava.
Amália Rodrigues sarà per sempre conosciuta come la "Regina del fado".
La sua inconfondibile voce si evolverà gradualmente dall'agile timbro
cristallino della giovinezza, attraverso il recupero del colore
speciale dei suoi suoni gravi, fino al timbro rugginoso, lacerato della
tarda età, inconfondibilmente "suo" e incrinato da una ferita mai
rimarginata: la malattia del vivere. Un suono remoto, metafisico,
declinato dagli accordi della chitarra che scivola su melodie intrise
di nostalgia: Tudo isto é fado, come titola una delle sue
canzoni-manifesto: cioè tutto questo è fado. Un modo di vivere,
l'espressione più autentica dello spirito lusitano. Il suo testamento
spirituale è contenuto nelle parole della splendida Cansaço, ma ancor più nei testi che lai stessa aveva composto, fin dai primissimi anni: emblematica la sua Estranha Forma de Vida; ma imperdibili anche Ai, esta pena de mim, Ai, as gentes; ai, a vida!, Grito e soprattutto Lágrima,
ormai divenuta un classico che tutti hanno cantato e canteranno. Non
lascia eredi alla sua corona, sebbene tutte le cantanti degli ultimi
decenni la abbiano imitata e nonostante i mass media tentino con
monotona regolarità di attribuire a questa o a quella nuova voce
l'etichetta di "erede di Amália". Nel 1929 lo scrittore portoghese Fernando Pessoa scriveva :
Amália diceva invece, più semplicemente, che il fado "è destino" (dal termine latino fatum,« Il
fado non è né allegro né triste, è la stanchezza dell'anima forte,
l'occhiata di disprezzo del Portogallo a quel Dio cui ha creduto e che
poi l'ha abbandonato: nel fado gli dei ritornano, legittimi e
lontani... »
fato). Da qui il fatalismo, la melanconia e la saudade – una forma
sublimata di nostalgia che fa emergere un sentimento "cosmico".
La radice ancestrale di questo sentimento Amália lo descriveva così: Non sono io che canto il fado, è il fado che canta me.
Oltre al fado, Amália ha prestato la sua voce anche alla musica italiana, interpretando brani moderni come La tramontana di Antoine, ma soprattutto la musica popolare come La bella Gigogin, inno del Risorgimento italiano, brani siciliani come Vitti 'na crozza e Ciuri ciuri e napoletani come La tarantella e i due splendidi duetti con Roberto Murolo, Dicitincello vuje e Anema e core.
Nel 2001 il regista spagnolo Pedro Almodovar apre la sceneggiatura del film Parla con lei (Hable con ella) con una citazione di Amália:
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Re: Grandi cantanti donne del 900 - NON italiane
La mia ninna quand'ero nica nica
, ma le parole erano la la la'
La greca Nina Mouskouri - Plaisir d'amour


La greca Nina Mouskouri - Plaisir d'amour
Re: Grandi cantanti donne del 900 - NON italiane
Argento vivo
biografia stringa stringa in italiano in spoiler





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- Spoiler:
- Celeberrima per la sua straordinaria duttilità vocale
- era capace di elettrizzanti acuti quanto di suadenti tonalità basse -
le sue improvvisazioni e i suoi virtuosismi nello "scat" (stile canoro
che consiste nell'usare la voce come uno strumento, cantando sillabe
accostate casualmente), Ella Fitzgerald è stata assieme a Billie Holiday
e Sarah Vaughan una delle più grandi cantanti di jazz di sempre,
distinguendosi soprattutto nel genere dello "swing", in cui eccelleva
per una voce sfavillante con cui riusciva, con la stessa intensità, a
far commuovere e a far divertire.
Ella Jane Fitzgerald nasce a Newport News, in Virginia, il 25
aprile 1917. Trascorre la sua infanzia in un orfanotrofio di New York,
e appena diciassettenne fa il suo debutto come cantante sul
palcoscenico dell' "Harlem Apollo Theatre", durante la serata dedicata
agli artisti dilettanti.
La giovane si presenta come ballerina, ma una crisi di nervi le
impedisce qualunque movimento: una volta fuori dalle quinte è il
panico. Su incitamento del presentatore la giovane Ella decide di non
lasciare il pubblico a bocca asciutta, e così comincia a cantare.
Nonostante l'insicurezza vince il primo premio.
Quella sera stessa viene notata dal noto batterista Chick Webb, che
la vuole come cantante della sua band. Dal 1934 al 1939 Ella Fitzgerald
canterà con la "Chick Webb Band", della cui direzione prenderà le
redini dal 1939, anno della morte di Webb, fino al 1942.
Verso la metà degli anni '40, Ella Fitzgerald si esibisce in Europa
e in Asia portando il suo jazz nelle sale da concerto classiche. Ormai
è una diva: le sue ineguagliabili doti canore la portano ad affrontare
diversi generi, come lo swing, il dixieland e il blues, oltre al caro
vecchio jazz. Dal 1946 Ella farà parte anche del "Jazz at the
Philharmonic".
Negli anni '50 canta, tra gli altri, con Duke Ellington alla "Carnegie Hall" di New York, e con il trio di Oscar Peterson.
Tra le sue ultime apparizioni in pubblico va ricordato il concerto
al "Kool Jazz Festival" tenuto nel 1985 sempre alla "Carnegie Hall".
Rimane indimenticabile la sua interpretazione nell'opera "Porgy and
Bess" di George Gershwin, al fianco di Louis Armstrong, della cui colonna sonora amava intonare con struggente sensibilità in quasi tutti i suoi concerti la celeberrima "Summertime".
Nonostante negli ultimi anni la grande cantante subisca una grave
forma di diabete, continuerà ad esibirsi in pubblico con grande forza
d'animo fino al 1992.
Ella Fitzgerald si è spenta il 15 giugno 1996 a Beverly Hills, in California, all'età di settantotto anni.
rossadavino- Utente Fattiscente: 5001-9999 Post
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Re: Grandi cantanti donne del 900 - NON italiane
In questo 3D tutte le mie preferite,anche il fado della Rodrigues
caspita
Billie
voce unica

Billie

seunanotte- Utente Colonna: 2001-5000 post
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Re: Grandi cantanti donne del 900 - NON italiane
Christina Aguilera accompagnata da un tale......Herbie Hancock.
.
.
LucyGordon- Utente Fattiscente: 5001-9999 Post
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Re: Grandi cantanti donne del 900 - NON italiane
seunanotte ha scritto:In questo 3D tutte le mie preferite,anche il fado della Rodriguescaspita
Billievoce unica
amalia rodrigues.. quanti ricordi.... sono stata fidanzata 2 anni con un lisboeta

andai a nell'alfama a vedere il fado in un locale fuori dal circuito turistico, pieno di lisboeti, si esibivano durante la cena, abbassavano le luci... il fado di lisboa poi ha sia la versione saudade e quella allegra....
che meraviglia
aggiungo che Amalia è venerata come una dea in portogallo, il suo corpo è stato traslato nel pantheon a lisbona in compagnia di gente come vasco da gama e albiquerque....
xenas- Utente Fattiscente: 5001-9999 Post
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Re: Grandi cantanti donne del 900 - NON italiane
Xenas grazie di dividere con noi i tuoi ricordi, Amalia Rodriguez
mi fa venire i brividi, a volte non posto tanti video, per non sentirmi
dire che so antica
tanti piano piano lo farò lo stesso
mi fa venire i brividi, a volte non posto tanti video, per non sentirmi
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rossadavino- Utente Fattiscente: 5001-9999 Post
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