islanda anti-bavaglio
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islanda anti-bavaglio
da repubblica
http://www.repubblica.it/esteri/2010/07/26/news/islanda_paese_senza_bavaglio-5830551/
INTERNET
Islanda, il paese senza bavaglio
Approvata una legge che
garantisce uno "scudo" quasi totale a chi metterà su Internet segreti
militari, giudiziari, societari e di Stato di pubblico interesse. I blogger saranno protetti dai
processi. "Sarà difesa la libertà d'espressione". E così la piccola
isola potrebbe diventare il bunker del giornalismo d'inchiesta dal nostro inviato GUIDO RAMPOLDI

REYKJAVIK -
Alle tre di quella notte, quando il parlamento è stato chiamato a
votare, la deputata anarchica Birgitta Jonsdottir non era affatto certa
che la sua proposta sarebbe passata. E un mese dopo ancora si chiede se
tutti i colleghi avessero capito l'entità della sfida che la piccola
Islanda si impegnava a lanciare all'universo mondo - a Stati di polizia e
a compagnie petrolifere, al Pentagono e a grandi banche, giù giù
digradando fino all'Italia di Silvio Berlusconi. Ma fosse pure con il
contributo di una scarsa consapevolezza, del sonno o della fretta di
andare in ferie, sul tabellone elettronico è apparso, ricorda Birgitta,
"un mare verde. Approvato all'unanimità. Ero stupefatta". Da quel 16
giugno, un Paese di trecentomila abitanti promette uno scudo quasi
totale ai disvelatori di segreti - segreti militari, segreti
istruttorii, segreti societari, segreti di Stato.
Se documenti
sottratti per un interesse pubblico saranno immessi in Internet da un
server con base in Islanda, la giustizia dell'isola non potrà impedirne
la divulgazione, tentare di scoprire chi li abbia rivelati, dare seguito
a condanne comminate da tribunali esteri in base a leggi contrarie alle
norme islandesi. Ancora: se uno Stato o un privato si ritenesse
diffamato e ricorresse davanti ad una corte straniera, la società
islandese proprietaria del computer (il server) che ha immesso in Rete
carte segrete non solo non potrà essere intimidita con la minaccia di
quei processi dai costi esorbitanti
che stanno costringendo all'autocensura molto
giornalismo occidentale, ma sarà autorizzata a rispondere con una
contro-citazione davanti ad una corte dell'isola, dichiarandosi vittima
di una minaccia alla libertà d'espressione.
Per capire come andrà
a finire la sfida islandese occorrerà attendere la normativa
d'attuazione (la risoluzione, intitolata Icelandic Modern Media
Iniziative, impegna il parlamento a modificare quattordici leggi, tempo
previsto: un anno). Stando alle premesse, l'Islanda potrebbe diventare
il bunker mondiale del giornalismo investigativo, le Cayman Islands di
un'informazione né manipolatoria né omissiva. Ma anche attirare
specialisti della disinformazione e mestieranti della calunnia. Potrebbe
arretrare sotto l'incalzare di silenziose pressioni internazionali.
Oppure restituire la voce agli zittiti - dissidenti, perseguitati,
disomogenei. Nel frattempo l'interesse che la deputata Birgitta
Jonsdottir ha registrato nel parlamento europeo, soprattutto nel gruppo
liberale, suggerisce che l'iniziativa islandese abbia già ottenuto un
risultato cospicuo: chiamare alla riscossa contro la massa di divieti,
ingiunzioni e intimidazioni che da quasi un decennio sta comprimendo la
libertà d'espressione anche negli Stati di diritto occidentali, spesso
con il pretesto della lotta al terrorismo.
Per quanto poi
riguarda l'Italia, quel che offre l'Islanda già adesso permette di
aggirare i divieti che in origine appartenevano alla goffa proposta del
ministro Alfano. Nel concreto, chi volesse divulgare intercettazioni dal
contenuto significativo non dovrebbe fare altro che mandare le
fotocopie del documento originale ad un sito specializzato nella
divulgazione di segreti (il più seguito, Wikileaks. org, ora ha la base
ufficiale in Islanda). Per posta, ad uno degli indirizzi indicati nel
sito Wikileaks; oppure via Internet attraverso il software Tor,
gratuito, che costruisce un gioco di carambole tra computer e rende
difficilissimo identificare il mittente. Il personale di Wikileaks
verificherebbe l'autenticità del documento attraverso i suoi
collaboratori in Italia, e tempo qualche giorno o qualche settimana, lo
metterebbe in rete. Secondo Smari Mc Carthy, matematico e portavoce di
quella Digital Freedom Society che ha avuto un ruolo importante nella
formulazione della proposta islandese, "una volta che il documento fosse
in Internet, i media italiani potrebbero riprenderlo senza temere
ritorsioni". La tesi di Mc Carthy è perlomeno discutibile, ma è meno
controverso che non mancherebbero media internazionali disposti a dare
pubblicità a ghiotti segreti italici, soprattutto nei Paesi dove
l'informazione gode di forti protezioni. Dunque quanto più la legge
Alfano tentasse di nascondere, tanto più ostenterebbe scandali e
inadeguatezza dell'esecutivo.
Probabilmente lo spettacolo non
stupirebbe gli islandesi, cui la tv di Stato in giugno ha raccontato
l'Italia attraverso il documentario svedese Videocracy, dove siamo
rappresentati da Berlusconi e tali Corona e Mora. "Che disastro,
poveretti!", si sente ripetere adesso il giornalista italiano.
A loro
volta gli italiani troverebbero un che di familiare nello scandalo
islandese che ha prodotto per reazione la Icelandic Modern Media
Iniziative.
Agosto 2009: la tv di Stato decide di rendere
pubblico un documento bancario da cui oggi molti ricavano che nel
privatizzare i due maggiori istituti di credito islandesi, i due partiti
di centrodestra se li siano spartiti affidandoli a loro amici, incapaci
che li avrebbero comprati con soldi presi a prestito da quelle stesse
banche. Poco prima che il servizio vada in onda, la magistratura lo
blocca con un'ingiunzione. La tv di Stato obbedisce: ma poco tempo dopo
si vendica mostrando la schermata di Wikileaks che ha messo in rete il
documento.
Dell'episodio discute la Digital Freedom Society in
dicembre, quando riunisce a Reykjavik una compagnia non convenzionale:
anarchici islandesi, hackers cosmopoliti, e i fondatori di Wikileaks. Va
detto che gli anarchici qui sono persone mitissime (la settimana scorsa
facevano scudo alla palazzina del governo bersagliata con sassi da
cittadini rovinati dalla crisi finanziaria). E gli hackers nordici
tengono a non essere confusi con i crackers, quelli che entrano nei siti
per sabotarli o saccheggiarli, o con i vari malfattori che cercano
lucri facili in Internet.
Si considerano esploratori dell'ignoto,
esteti, "hippies lanciati nel cyberspazio", per citare uno di loro, Mc
Carthy, che di nome fa Trifoglio (Smari in islandese: il padre, nato in
Irlanda, lo chiamò così perché il trifoglio è il simbolo irlandese).
Comunque quella sera due dozzine tra hackers, anarchici e
sfascia-segreti di Wikileaks si ritrovano in un pub di Reykjavik e
decidono di fondere in un progetto organico le più avanzate tra le norme
europee e statunitensi in materia di informazione. Si tratta di
invertire una tendenza che non è soltanto italiana. Preoccupa
soprattutto la Gran Bretagna, meta preferita di quel "turismo da
querela" che promuove la causa lì dove trova la legislazione più
favorevole. Secondo Trifoglio Mc Carthy, nei processi per diffamazione
la giustizia britannica permette al querelante di infliggere al
querelato un processo lungo e spese processuali proibitive (così anche
negli Usa: vincere la causa contro Scientology è costato 7 milioni di
dollari al settimanale Time). A motivo di questo, molti giornali inglesi
stanno cancellando dai propri archivi tutte le notizie controverse, per
evitare di essere trascinati in una causa da studi legali collegati a
grandi industrie.
"Ma questo vuol dire modificare la storia",
segnala Birgitta Jonsdottir. Mentre studia i codici occidentali il
gruppo di Reykjavik si trova coinvolto nell'elaborazione di un filmato
che un soldato americano ha inviato di nascosto a Wikileaks. Girato
dalla US Air Force, mostra un elicottero statunitense fare strage di un
gruppo di iracheni inermi scambiati per guerriglieri, e soprattutto,
ammazzare intenzionalmente i primi soccorritori, clamorosamente
incolpevoli. Non c'è un prima e un dopo, lamenta il ministro della
Difesa Gates, volendo intendere: l'episodio è decontestualizzato.
Ma
almeno c'è un "in mezzo", gli risponde Wikileaks. Quel che qui conta è
che né il filmato né l'arresto del soldato che lo trafugò, tuttora
detenuto, hanno trovato sui media americani l'eco che Wikileaks si
attendeva. Se ne potrebbe dedurre che qualsiasi cosa scoprano i
divulgatori di segreti, se l'argomento non è nell'agenda dei media
tradizionali non arriverà al grande pubblico.
Quando gli giro il
mio dubbio il portavoce di Wikileaks, Daniel, replica che
l'organizzazione non vuole tanto sollevare clamore quanto sottrarre
all'invisibilità documenti che potrebbero formare la verità storica.
Fondata da un hacker australiano che tuttora viaggia nel mondo con le
precauzioni di un ricercato, Wikileaks può avvalersi di 800-1000
collaboratori sparsi in decine di Paesi, con i quali verifica le carte
segrete che riceve. Secondo Daniel finora soltanto due sono risultate
trappole costruite ad arte (una collegava Obama all'islamismo radicale).
In genere Wikileaks non si pone il problema se i segreti divulgati
siano d'aiuto a malintenzionati (così l'organizzazione ha pubblicato i
test condotti dal Pentagono su apparecchi destinati a prevenire
l'esplosione di mine). L'importante, per così dire, è che quei documenti
siano agli atti.
Però le protezioni accordate dall'Islanda già
nel futuro prossimo indurranno questi o altri cacciatori di segreti a
tentare di raggiungere in proprio il grande pubblico. E a costruire
archivi nazionali (l'IMMI, ghigna Trifoglio Mc Carthy, potrebbe
sdoppiarsi in "Italian modern media initiative") oppure tematici, vuoi
per precisare i profili di Corporation che hanno globalizzato anche
l'opacità, vuoi per individuarne comportamenti scorretti che al momento
sono invisibili. Il progetto è audace, la questione seria. Difficile
fare previsioni. Al momento l'unica cosa chiara è che al cospetto dei
cybernauti di Reykjavik il povero Angelino Alfano, con le sue pandette e
i suoi calamai, fa la figura di un leguleio del Regno delle Due
Sicilie.
(26 luglio 2010)
paese meraviglioso l'islanda credetemi

http://www.repubblica.it/esteri/2010/07/26/news/islanda_paese_senza_bavaglio-5830551/
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Islanda, il paese senza bavaglio
Approvata una legge che
garantisce uno "scudo" quasi totale a chi metterà su Internet segreti
militari, giudiziari, societari e di Stato di pubblico interesse. I blogger saranno protetti dai
processi. "Sarà difesa la libertà d'espressione". E così la piccola
isola potrebbe diventare il bunker del giornalismo d'inchiesta dal nostro inviato GUIDO RAMPOLDI

REYKJAVIK -
Alle tre di quella notte, quando il parlamento è stato chiamato a
votare, la deputata anarchica Birgitta Jonsdottir non era affatto certa
che la sua proposta sarebbe passata. E un mese dopo ancora si chiede se
tutti i colleghi avessero capito l'entità della sfida che la piccola
Islanda si impegnava a lanciare all'universo mondo - a Stati di polizia e
a compagnie petrolifere, al Pentagono e a grandi banche, giù giù
digradando fino all'Italia di Silvio Berlusconi. Ma fosse pure con il
contributo di una scarsa consapevolezza, del sonno o della fretta di
andare in ferie, sul tabellone elettronico è apparso, ricorda Birgitta,
"un mare verde. Approvato all'unanimità. Ero stupefatta". Da quel 16
giugno, un Paese di trecentomila abitanti promette uno scudo quasi
totale ai disvelatori di segreti - segreti militari, segreti
istruttorii, segreti societari, segreti di Stato.
Se documenti
sottratti per un interesse pubblico saranno immessi in Internet da un
server con base in Islanda, la giustizia dell'isola non potrà impedirne
la divulgazione, tentare di scoprire chi li abbia rivelati, dare seguito
a condanne comminate da tribunali esteri in base a leggi contrarie alle
norme islandesi. Ancora: se uno Stato o un privato si ritenesse
diffamato e ricorresse davanti ad una corte straniera, la società
islandese proprietaria del computer (il server) che ha immesso in Rete
carte segrete non solo non potrà essere intimidita con la minaccia di
quei processi dai costi esorbitanti
che stanno costringendo all'autocensura molto
giornalismo occidentale, ma sarà autorizzata a rispondere con una
contro-citazione davanti ad una corte dell'isola, dichiarandosi vittima
di una minaccia alla libertà d'espressione.
Per capire come andrà
a finire la sfida islandese occorrerà attendere la normativa
d'attuazione (la risoluzione, intitolata Icelandic Modern Media
Iniziative, impegna il parlamento a modificare quattordici leggi, tempo
previsto: un anno). Stando alle premesse, l'Islanda potrebbe diventare
il bunker mondiale del giornalismo investigativo, le Cayman Islands di
un'informazione né manipolatoria né omissiva. Ma anche attirare
specialisti della disinformazione e mestieranti della calunnia. Potrebbe
arretrare sotto l'incalzare di silenziose pressioni internazionali.
Oppure restituire la voce agli zittiti - dissidenti, perseguitati,
disomogenei. Nel frattempo l'interesse che la deputata Birgitta
Jonsdottir ha registrato nel parlamento europeo, soprattutto nel gruppo
liberale, suggerisce che l'iniziativa islandese abbia già ottenuto un
risultato cospicuo: chiamare alla riscossa contro la massa di divieti,
ingiunzioni e intimidazioni che da quasi un decennio sta comprimendo la
libertà d'espressione anche negli Stati di diritto occidentali, spesso
con il pretesto della lotta al terrorismo.
Per quanto poi
riguarda l'Italia, quel che offre l'Islanda già adesso permette di
aggirare i divieti che in origine appartenevano alla goffa proposta del
ministro Alfano. Nel concreto, chi volesse divulgare intercettazioni dal
contenuto significativo non dovrebbe fare altro che mandare le
fotocopie del documento originale ad un sito specializzato nella
divulgazione di segreti (il più seguito, Wikileaks. org, ora ha la base
ufficiale in Islanda). Per posta, ad uno degli indirizzi indicati nel
sito Wikileaks; oppure via Internet attraverso il software Tor,
gratuito, che costruisce un gioco di carambole tra computer e rende
difficilissimo identificare il mittente. Il personale di Wikileaks
verificherebbe l'autenticità del documento attraverso i suoi
collaboratori in Italia, e tempo qualche giorno o qualche settimana, lo
metterebbe in rete. Secondo Smari Mc Carthy, matematico e portavoce di
quella Digital Freedom Society che ha avuto un ruolo importante nella
formulazione della proposta islandese, "una volta che il documento fosse
in Internet, i media italiani potrebbero riprenderlo senza temere
ritorsioni". La tesi di Mc Carthy è perlomeno discutibile, ma è meno
controverso che non mancherebbero media internazionali disposti a dare
pubblicità a ghiotti segreti italici, soprattutto nei Paesi dove
l'informazione gode di forti protezioni. Dunque quanto più la legge
Alfano tentasse di nascondere, tanto più ostenterebbe scandali e
inadeguatezza dell'esecutivo.
Probabilmente lo spettacolo non
stupirebbe gli islandesi, cui la tv di Stato in giugno ha raccontato
l'Italia attraverso il documentario svedese Videocracy, dove siamo
rappresentati da Berlusconi e tali Corona e Mora. "Che disastro,
poveretti!", si sente ripetere adesso il giornalista italiano.
A loro
volta gli italiani troverebbero un che di familiare nello scandalo
islandese che ha prodotto per reazione la Icelandic Modern Media
Iniziative.
Agosto 2009: la tv di Stato decide di rendere
pubblico un documento bancario da cui oggi molti ricavano che nel
privatizzare i due maggiori istituti di credito islandesi, i due partiti
di centrodestra se li siano spartiti affidandoli a loro amici, incapaci
che li avrebbero comprati con soldi presi a prestito da quelle stesse
banche. Poco prima che il servizio vada in onda, la magistratura lo
blocca con un'ingiunzione. La tv di Stato obbedisce: ma poco tempo dopo
si vendica mostrando la schermata di Wikileaks che ha messo in rete il
documento.
Dell'episodio discute la Digital Freedom Society in
dicembre, quando riunisce a Reykjavik una compagnia non convenzionale:
anarchici islandesi, hackers cosmopoliti, e i fondatori di Wikileaks. Va
detto che gli anarchici qui sono persone mitissime (la settimana scorsa
facevano scudo alla palazzina del governo bersagliata con sassi da
cittadini rovinati dalla crisi finanziaria). E gli hackers nordici
tengono a non essere confusi con i crackers, quelli che entrano nei siti
per sabotarli o saccheggiarli, o con i vari malfattori che cercano
lucri facili in Internet.
Si considerano esploratori dell'ignoto,
esteti, "hippies lanciati nel cyberspazio", per citare uno di loro, Mc
Carthy, che di nome fa Trifoglio (Smari in islandese: il padre, nato in
Irlanda, lo chiamò così perché il trifoglio è il simbolo irlandese).
Comunque quella sera due dozzine tra hackers, anarchici e
sfascia-segreti di Wikileaks si ritrovano in un pub di Reykjavik e
decidono di fondere in un progetto organico le più avanzate tra le norme
europee e statunitensi in materia di informazione. Si tratta di
invertire una tendenza che non è soltanto italiana. Preoccupa
soprattutto la Gran Bretagna, meta preferita di quel "turismo da
querela" che promuove la causa lì dove trova la legislazione più
favorevole. Secondo Trifoglio Mc Carthy, nei processi per diffamazione
la giustizia britannica permette al querelante di infliggere al
querelato un processo lungo e spese processuali proibitive (così anche
negli Usa: vincere la causa contro Scientology è costato 7 milioni di
dollari al settimanale Time). A motivo di questo, molti giornali inglesi
stanno cancellando dai propri archivi tutte le notizie controverse, per
evitare di essere trascinati in una causa da studi legali collegati a
grandi industrie.
"Ma questo vuol dire modificare la storia",
segnala Birgitta Jonsdottir. Mentre studia i codici occidentali il
gruppo di Reykjavik si trova coinvolto nell'elaborazione di un filmato
che un soldato americano ha inviato di nascosto a Wikileaks. Girato
dalla US Air Force, mostra un elicottero statunitense fare strage di un
gruppo di iracheni inermi scambiati per guerriglieri, e soprattutto,
ammazzare intenzionalmente i primi soccorritori, clamorosamente
incolpevoli. Non c'è un prima e un dopo, lamenta il ministro della
Difesa Gates, volendo intendere: l'episodio è decontestualizzato.
Ma
almeno c'è un "in mezzo", gli risponde Wikileaks. Quel che qui conta è
che né il filmato né l'arresto del soldato che lo trafugò, tuttora
detenuto, hanno trovato sui media americani l'eco che Wikileaks si
attendeva. Se ne potrebbe dedurre che qualsiasi cosa scoprano i
divulgatori di segreti, se l'argomento non è nell'agenda dei media
tradizionali non arriverà al grande pubblico.
Quando gli giro il
mio dubbio il portavoce di Wikileaks, Daniel, replica che
l'organizzazione non vuole tanto sollevare clamore quanto sottrarre
all'invisibilità documenti che potrebbero formare la verità storica.
Fondata da un hacker australiano che tuttora viaggia nel mondo con le
precauzioni di un ricercato, Wikileaks può avvalersi di 800-1000
collaboratori sparsi in decine di Paesi, con i quali verifica le carte
segrete che riceve. Secondo Daniel finora soltanto due sono risultate
trappole costruite ad arte (una collegava Obama all'islamismo radicale).
In genere Wikileaks non si pone il problema se i segreti divulgati
siano d'aiuto a malintenzionati (così l'organizzazione ha pubblicato i
test condotti dal Pentagono su apparecchi destinati a prevenire
l'esplosione di mine). L'importante, per così dire, è che quei documenti
siano agli atti.
Però le protezioni accordate dall'Islanda già
nel futuro prossimo indurranno questi o altri cacciatori di segreti a
tentare di raggiungere in proprio il grande pubblico. E a costruire
archivi nazionali (l'IMMI, ghigna Trifoglio Mc Carthy, potrebbe
sdoppiarsi in "Italian modern media initiative") oppure tematici, vuoi
per precisare i profili di Corporation che hanno globalizzato anche
l'opacità, vuoi per individuarne comportamenti scorretti che al momento
sono invisibili. Il progetto è audace, la questione seria. Difficile
fare previsioni. Al momento l'unica cosa chiara è che al cospetto dei
cybernauti di Reykjavik il povero Angelino Alfano, con le sue pandette e
i suoi calamai, fa la figura di un leguleio del Regno delle Due
Sicilie.
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